Accadde tutto in pochi giorni, all’inizio di un giugno arrabbiato di pioggia. Gli ultimi giorni da liceale, insofferenti e svagati, in attesa di cominciare la preparazione per l’esame di maturità. Il 4 giugno tagliai la quinta ora di lezione (matematica, che altro?) e insieme a Mauro, Enzo e Stefano presi il treno per Bardonecchia, dove faceva tappa il Giro d’Italia. Quel Giro che, dopo molti sfortunati tentativi, Francesco Moser avrebbe finalmente vinto. Diluviava, faceva freddo: dopo l’arrivo dei ciclisti, riparammo infradiciati nella hall di un albergo quattrostelle. Qui Enzo ebbe la bella idea di levarsi i calzini per metterli ad asciugare su un termosifone, incurante degli sguardi inorriditi dei clienti. Due giorni prima, un sabato, si era svolto a Vinchio il funerale di nonno Beppe, con gli zii paterni che facevano la sceneggiata ma si capiva benissimo che non gliene importava niente. A dir la verità mi sentivo sollevato anch’io, non avrei mai più dovuto frequentare quel postaccio infame che detestavo sin dall’infanzia. Quello stesso pomeriggio, in una nuvola di calcinacci e polvere gialla, crollava l’antico Palazzo degli Stemmi in via Po, già in parte restaurato. Ricordo il cumulo di macerie sbriciolate che per molti mesi ostruì la carreggiata, costringendo il traffico cittadino a deviare nelle strade adiacenti. Il 7 giugno Enrico Berlinguer si accasciava sul palco di Padova, e il penoso accadimento accrebbe in me la segreta consapevolezza di un tempo storico che andava a chiudersi, non soltanto sul piano personale. Infine fu domenica 10 giugno. Maria Teresa, una compagna di scuola del terzo anno, aveva organizzato una festa in casa per il suo compleanno. Sul terrazzo inondato da un sole ormai estivo mi avvicinai a Lucia, capelli ramati e lentiggini sparse come minuscoli grani di sabbia. Non sapeva ballare, confessò. Risposi che calzavo delle pinne numero 44 e dunque ero messo peggio. Lei alzò lo sguardo e mi sorrise ironica, strizzando gli occhi. Fui perduto.