Quando appresi che Berlino era divisa da un muro avevo forse sette o otto anni: il sussidiario citava il periodo di costruzione, il 1961, e un sobborgo di nome Pankow, ma le sfocate immagini televisive in bianco e nero non ne restituivano un'immagine precisa. Mi sfuggivano i confini fisici, non capivo come potesse separare la Germania Occidentale da quella Orientale. Avevo inoltre l’impressione che si trovasse lì da sempre, alla pari di tutto ciò che preesisteva alla mia nascita. Ad ogni modo, la Germania Est mi risultava più simpatica. Nessuna ragione ideologica, sebbene fossero gli Anni Settanta e gli schieramenti politici apparissero rigidamente definiti: si trattava solamente di una di quelle propensioni tipiche dei bambini, istintive quanto inspiegabili. Così, quando venne il momento dei Mondiali di Monaco e il sorteggio mise nello stesso girone preliminare le due Germanie, non ebbi dubbi su quale fare il tifo.
Ricordo piuttosto bene quei giorni di giugno del 1974. Mi trovavo a Lido di Spina insieme ai miei nonni materni, ospite nella casa degli zii, in attesa che mia sorella terminasse l'esame di seconda elementare e ci raggiungesse con mamma e papà. Faceva molto caldo, il tipico caldo umido del delta padano che neppure i bagni a mare e i ghiaccioli al limone riuscivano a mitigare. Ero inoltre afflitto da ustioni solari sul torace (le creme a protezione totale non esistevano ancora) e da pizzichi di zanzare notturne che rumoreggiavano come elicotteri. Durante le ore pomeridiane facevo buio nella mia cameretta e, alla luce di una lampada tascabile, sprofondavo nella lettura di Jules Verne e Salgari. Mi sono spesso chiesto se fossi un bambino felice, ma non so darmi una risposta. Forse avrei potuto esserlo di più, ecco: perché l’umore moderatamente sereno era attenuato da veli di malinconia che rendevano il mio sguardo attonito, come se dovesse sempre succedere qualcosa d’inatteso.
La storia narra che il Mondiale disputatosi nel 1974 fu il primo a essere trasmesso a colori, però i fortunati che possedevano un televisore adatto erano ancora pochi ed io non rientravo nel numero. Nella casa al mare si trovava un Telefunken 12 pollici, uno di quei televisori bianchi dalla sagoma stondata di stile modernista che, allora, parevano avveniristici e invece sarebbero finiti presto nei mercatini d'antiquariato. Mentre l'Italia stentava nel gioco e nei risultati, Olanda, Svezia e Polonia davano spettacolo a suon di reti, fedeli interpreti di un calcio “totale” - si diceva - fatto di ritmo, terzini che attaccavano e centravanti che difendevano. Nel primo girone le due Germanie vinsero facile contro l'Australia e, nonostante il pareggio che il Cile riuscì a imporre alla DDR, la sera del 22 giugno entrambe si ritrovarono già qualificate al turno successivo. Poteva essere un'amichevole di lusso ma, davanti a 65.000 spettatori che gremivano il Volkparkstadion di Amburgo, Germania Ovest e Germania Est diedero vita a un incontro vibrante, senza esclusione di colpi.
Riprendo il resoconto della partita da un libro di Gianni Brera che conservo gelosamente, sebbene nella memoria mi restino alcune immagini significative. La Germania Ovest cominciò in maniera veemente sfoderando un gioco arioso, corale, una manovra organizzata e collaudata. Accanto a Wolfgang Overath, il cervello di centrocampo, Uli Hoeness agitava la sua zazzera bionda per tutto il campo. Dietro giganteggiava “Kaiser” Franz Beckenbauer, libero e regista della difesa che poteva contare sui granitici Vogts e Breitner. Davanti a tutti Gerd Müller, un volpino dell'area di rigore, che nel primo tempo prese pure un palo. La Germania Est replicava con un gioco all'italiana, tutto difesa e contropiede, incentrato (naturalmente) sul collettivo. Tra le sue fila militavano nomi noti soltanto a chi, come me, collezionava le figurine Panini: il portiere Jürgen Croy, il forte terzino Bernd Bransch e l'ala Jürgen Sparwasser. Nella ripresa, dopo aver contenuto a fatica l'attacco ossessivo degli avversari, gli Ossis vennero fuori alla distanza. La difesa si fece più autoritaria, i contropiedi ficcanti e pericolosi. Il gol nacque proprio così, al 76° minuto: un lancio lungo su cui si avventò l'astuto Sparwasser, ventisei anni, famiglia operaia, il quale si sfilò dal diretto marcatore con un dribbling in velocità. Maier, le manone protese, gli si fece incontro piuttosto goffamente e il pallone beffardo lo aggirò per finire lemme lemme nel sacco. Una rete storica: la prima segnata da un calciatore della DDR ai rivali al di qua del muro. Lo stadio ammutolì: rimasero a far festa gli ottomila tifosi venuti dall’Est, ai quali il regime comunista aveva fornito un visto turistico straordinario per assistere all’incontro. Per Croy e compagni fu facile, a questo punto, frenare gli attacchi furibondi degli Occidentali e gestire l’inopinata vittoria.
Giunta al secondo turno, la Germania Est non seppe dare continuità al risultato. Il suo gioco pratico ma poco tecnico non bastò a fermare Olanda e Brasile, consentendole appena di strappare un pari all’Argentina. Miglior sorte accompagnò la più talentuosa ed esperta compagine occidentale la quale, come si sa, arrivò a vincere il titolo mondiale. Poco importa: il calcio non si nutre soltanto di statistiche, sono le imprese come questa a rendere leggendari giocatori e squadre. Ancora oggi, a riunificazione avvenuta ormai da un quarto di secolo, i nativi orientali sono soliti chiedersi: “Tu dov’eri quando segnò Sparwasser?”. E lui, Jürgen Sparwasser, l’eroe di una notte che non si ripeté, nel 1988 decise di restituire quel gol impensabile fuggendo all’Ovest con la famiglia.