La riproposizione di certi film di serie B si confonde sovente con una rivalutazione che suscita qualche fondata perplessità. Si ascoltano lodi sperticate su filmetti comici, polizieschi, erotici, poverissimi e mai avvincenti, solo perché è di moda recuperarli. Si leggono vere e proprie esegesi del trash, con relativa ostentazione di teorie sociologiche e approcci metaculturali (!). Direi che si tratta della forma più autentica - e meno accattivante - di snobismo cinematografico.
Questo fenomeno, tuttavia, non esclude la (ri)scoperta di piccole opere le quali, pur appartenendo a un genere “basso”, mostrano caratteristiche di originalità che le rendono assolutamente rivedibili. Da questo punto di vista, il cinema popolare degli anni ’60 e ’70 è pieno di sorprese piccole e grandi. Era un cinema artigianale, spesso approssimativo, persino malfatto: ma era vivo, vitale. Febbre da cavallo gode, a suo modo, di una piccola (meritata) fama. Prodotto a basso costo, venne distribuito nell’estate del 1976, ebbe incassi modesti (290 milioni) e finì presto nel dimenticatoio. Risorse a una inopinata seconda vita tra gli ’80 e i ’90, trasmesso nei circuiti televisivi minori con il ruolo di tappabuchi per improbabili palinsesti. Il suo successo finì persino per rasentare il fanatismo: soprattutto nell’area romana nacquero club di Febbristi e poi siti internet, senza considerare che la pubblicazione del Vhs polverizzò i record di vendita.
Ripreso a quarant’anni di distanza, il film resta tutt’altro che banale. Se il soggetto, che tratta il mondo degli scommettitori ippici, richiama immediatamente altri esempi famosi (uno per tutti La stangata), la sceneggiatura e le situazioni, grazie a una narrazione a orologeria, rimandano direttamente alla commedia farsesca di Plauto. I soprannomi dei protagonisti (Mandrake, Er Pomata, Er Roscio, Ventresca, Bellicapelli) sostituiscono le maschere e il nomen/omen, ma l’effetto è lo stesso. E poi, a seguire, il Caso che fa accadere l’imprevedibile, la figura del Sosia che irrompe nello scambio di persona, il Miles Gloriosus. Su tutti spicca Gigi Proietti/Mandrake (stereotipo del vorrei-ma-non-posso) che, sul finire del film, si esibisce con impareggiabile istrionismo petrolinesco in una vera e propria cantica - intesa come monologo sciolto dal contesto dell’azione - sullo scommettitore. Nella sua essenza di commedia, Febbre da cavallo mette in moto aristotelicamente un meccanismo in cui gli uomini sono figure in balìa di un Fato incontrollabile. Nell’ironica accettazione della precarietà della condizione umana, i personaggi si riconoscono reciprocamente al di là di ogni categoria sociale (principi e netturbini si alleano per puntare sullo stesso cavallo) e il senso cameratesco non viene mai tradito. Nemmeno in tribunale quando dal pubblico si leva l’invito solidale a sostegno degli imputati: “Ce semo tutti. Ah Poma’, vai cor tango!”.
Febbre da cavallo, di Steno, con Gigi Proietti, Enrico Montesano, Catherine Spaak, Mario Carotenuto, Adolfo Celi, Gigi Ballista (Italia, 1976, 100’). Lunedì 20 luglio 2015, ore 21, RaiMovie.
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