“Una delle maggiori piacevolezze della nuova posizione di Albert [Einstein] era avere un assistente di ricerca. Per questo incarico, Albert aveva scelto Ludwig Hopf, un giovane bavarese d’indole gentile che aveva incontrato alla conferenza di Salisburgo, e che si era appena laureato con l’amico di Albert, Sommerfeld. Oltre a essere un fine matematico e un bravo pianista, Hopf era un appassionato di psicoanalisi. Aveva studiato Freud, e una volta arrivato a Zurigo, Carl Gustav Jung, il quale era intento a sviluppare una teoria più ampia che sarebbe diventata nota come ‘inconscio collettivo’. Albert accompagnò Hopf a una conferenza di Jung, e dopo i due andarono a cena a casa sua. Anche se Albert non era rimasto colpito dalla conferenza, nel corso degli anni tornò più volte a casa di Jung. Albert cercò senza molto successo di spiegare agli psichiatri la relatività e altri aspetti della fisica moderna. In seguito, Jung riferì di aver capito solo quanto bastava per restarne impressionato senza speranze. Gli psicoanalisti ebbero ancor meno fortune nello spiegare ad Albert il loro lavoro”.
(da Einstein innamorato, di Dennis Overbye)
Me li immagino quei due, Albert e Carl Gustav, alle prese con uno stinco di vitello innaffiato da un gallone di Doppelbock. << Consideriamo allora il diagramma di Minkowski che rappresenta due sistemi di riferimento inerziali in moto l’uno rispetto all’altro con velocità costante… >>. << Accanto ai contenuti inconsci personali ne esistono altri provenienti dalle acquisizioni che la psiche ha ereditato. Questi contenuti io li denomino collettivamente inconsci… >>. << Ah… ah >>, fa Carl Gustav. << Oh… oh >>, ripete Albert. Nessuno dei due capisce che lavoro fa l’altro. E ciascuno pensa: “Ma che cacchio sta dicendo questo?”.