Difesa e contropiede, così sappiamo giocare. Dai tempi di Vittorio Pozzo, dai mondiali vinti negli anni '30; e così l'Italia di Bearzot, quella di Valcareggi prima e Lippi dopo. Perché questa è la natura del nostro popolo. È il gioco all’italiana, in altre parole la strategia dei poveri: un misto di furbizia e cinismo, di necessità e virtù. Questa è anche la strategia di Antonio Conte: ha tra le mani una delle Nazionali più scarse di talento nella storia del nostro calcio, cos'altro potrebbe escogitare? Allora palla lunga e pedalare, kick and run, come insegnavano i maestri anglosassoni. Catenaccio versione 2.0. A questa mentalità sparagnina ci aggiunge ovviamente molto di suo: la cultura del lavoro, l'applicazione feroce, la concentrazione, la determinazione, il senso del sacrificio. Conte si è preso sulle spalle questa squadra di giocatori medi (ma non mediocri), da loro spreme tutte le qualità che possiedono fino allo sfinimento. La mancanza di classe si compensa con la rabbia agonistica. L'obiettivo non è vincere una partita o un torneo ma prendere coscienza delle proprie possibilità e impegnarsi a superare i limiti personali e di squadra. Un insegnamento, un atteggiamento che ciascuno di noi dovrebbe apprendere e mettere in atto quotidianamente, in qualunque campo della vita.