"Chi è questa commissione di nullità... Io accetto di essere giudicata solo da Sabino Cassese". E ancora: "Voglio fare ricorso e verificare gli elaborati di tutti i candidati. Non è possibile che ci sia qualcuno che scrive meglio di me".
Lucia mascherava la delusione per non aver superato il concorso sforzandosi di mantenere il controllo della situazione. Aveva puntato tutto su quell’opportunità e ora non accettava di vedere ridimensionate le proprie aspettative. Doveva proteggersi dall’insuccesso e lo faceva con le armi più forti di cui disponeva. Il rifiuto di attribuirsi almeno una parte di responsabilità mi pareva tuttavia eccessivo. Conoscevo le sue qualità letterarie, sapevo che le esprimeva al meglio affrontando argomenti leggeri sui quali divagava in maniera amabile. Dubitavo però segretamente che esse reggessero alla concretezza spietata di una prova ministeriale, soprattutto se, come percepivo, non sembravano sorrette da una preparazione adeguata. Più lei ostentava ottimismo e sicurezza nei propri mezzi, più io faticavo a nascondere la preoccupazione circa l'esito che, in effetti, si rivelò avverso oltre ogni previsione.
Lucia mise in atto una strategia difensiva che sembrava avesse già predisposto. Prese a sciorinare giustificazioni che la scagionassero dall’insuccesso, giustapponendole in rapida successione, fino a restare letteralmente senza fiato. Era l’automatismo con cui le forniva a lasciarmi interdetto: passava da una all’altra in modo cumulativo, aggiungendole o ripetendole quasi con le medesime parole, senza una logica evidente. S’impegnava a dimostrare che si era trattato di un concorso truccato: ipotesi non certo da escludersi, ma la fitta tela di alibi che andava costruendo si mostrava, alla prova dei fatti, inconsistente. La fallacia della griglia di valutazione o la sostituzione di un paio di membri appartenenti alla commissione erano indizi facilmente confutabili. Credo che lei ne fosse in qualche misura consapevole, perché non mise mai in atto il proposito di presentare ricorso. Dal canto mio provai dapprima a farla ragionare; quindi, per non scontrarmi con l’inflessibilità dei suoi pensieri, pian piano arretrai, cercando soprattutto di confortarla, accompagnandola verso la fine naturale del lutto.
Dopo qualche tempo, Lucia manifestò il desiderio di sottopormi l'elaborato. Non so se intendeva documentare la bontà del proprio lavoro oppure cercasse di pungolare il mio giudizio. Fino a quel punto avevo trattato la vicenda con misura, non avevo elementi sufficienti per commentare con obiettività e la sua linea difensiva pareva approntata da un avvocato. Ma Lucia non era una sciocca: aveva certamente intuito le ragioni del mio riserbo, attribuendolo a una mancanza di fiducia che, per qualche verso, nutrivo realmente. Accettai comunque di leggere il suo lavoro presentendo che, mio malgrado, avrei dovuto usare molto garbo per non urtare la sua suscettibilità.
Quando l’ebbi in mano, lo sguardo mi cadde - per puro caso - su un errore grossolano. La frase diceva più o meno così: "La questione potrebbe essere affrontata il prossimo anno scolastico". L’uso di "prossimo" invece di "successivo" non dimostrava tanto una sciattezza nell’uso della lingua, comunque sorprendente, bensì rivelava la povertà delle argomentazioni. L’elaborato era smilzo, pieno di ovvietà evidenti anche a un inesperto, per giunta infarcito di citazioni sussiegose, poco appropriate, sfoggiate al fine di impressionare la commissione. Messo alla prova in un contesto professionale, il talento dialettico di cui Lucia si vantava apertamente si era come insterilito. La sensazione era che avesse trattato una materia che non conosceva - e invece avrebbe dovuto. Ci rimasi francamente male. Per lei, le volevo bene, comprendevo tanto la sofferenza quanto le modalità compensatorie con cui cercava di controllarla. Ma anche per me, che avevo riposto affidamento nelle sue risorse e ora mi sentivo tradito dalla loro effettiva modestia. L’immagine che ebbi al termine della lettura fu di un palloncino che, sfuggito alle manine incerte di un bambino, esplode in cielo e i frammenti di plastica scendono lentamente sull’asfalto.
A quel punto mi feci l’idea che l’intenzione di sottopormi il suo elaborato nascondesse la volontà di coinvolgermi affinché sostenessi le sue tesi: Lucia possedeva un’elevata autostima e, in questa circostanza delicata, doveva salvaguardarla attribuendo lo smacco a cause non personali. In caso contrario avrebbe probabilmente reagito in modo aggressivo, scaricando su di me tutta la frustrazione accumulata. Cosa avrei potuto dire allora senza indisporla, evitando di cadere nella sua manovra manipolativa? Presi tempo, attendendo che fosse lei a sollecitare nuovamente un responso. Non ne trascorse molto, ora Lucia aveva fretta di chiudere l’argomento. Messo dunque alle strette fui evasivo senza mentire del tutto: sì, avevo dato una scorsa, però non mi ritenevo competente nell'esprimere un giudizio. Lei capì e da quel momento in avanti la sua amicizia andò spegnendosi in un silenzio carico di orgoglioso risentimento. Capii anch'io e smisi di cercarla.