Ho come un mancamento di memoria:
è che sono stato veramente al Sud?
Quando è successo già? In quale secolo?
O domani? È stato forse domani
o sempre, forse è stato sempre?
Quel posarsi come in una ciotola,
là dove l’anima sente il desiderio,
quando il mare vuole (non noi o il mondo),
perché il mare è esigente.
Io parlo dell’anima che si posa,
è un processo naturale,
l’anima si posa e riposa,
respira liberamente:
l’anima possiede risorse,
si vuota e si riempie al medesimo tempo,
come le onde che s’inerpicano e colpiscono gli scogli,
fragorose di risa e di sperma.
Non si va al Sud, ci si arriva,
ci si lava nella corrente
ci si desquama la pelle bianca:
un dolore atroce certe volte
cui si prova a resistere
ma - è inutile -
da cui ci si fa catturare.
L’anima fa il lavoro che le spetta,
si monda, si purifica,
guadagna la luce,
vola come i gabbiani nella notte.
(Non ho mai capito cosa fanno i gabbiani la notte, ma questo fanno:
devono volare mollemente verso il faro, verso l’alto e più vicino,
poi atterrano e dormono là, piegando il capo sotto la luna piena.)
Vorrei essere un gabbiano
anche solo per una stagione e un’ora,
mentre navigo sulla rotta che conduce al porto
e ripenso a quelle piccole ali
sporche di vento e polvere,
all’odore di salsedine,
ai limoni nascosti in un piccolo giardino vietato.
Sono pressoché sicuro
che il farista sia sempre lassù,
attende le creature del mare che si accostano.
Sì, egli è là,
sorride dolcemente,
conosce i pesci meglio di tutti i marinai,
e parla anche la loro lingua,
(papesce papesce, papescino carolino),
prologo di benvenuto cortese e necessario.
L’amore non è che la conseguenza di una vita curiosa,
energia marina che provoca, ribolle,
esaudisce e lenisce,
rende ogni vita in miniatura
rivelatrice di bellezza.
(Little Licorne e Pim, 2 maggio 2016)
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