Mi introduco furtivamente nella villa di Terrence Malick insieme a due complici. È un cottage con un ampio salone d’ingresso e molte stanze situate al piano superiore, piene di oggetti d'antiquariato che cominciamo a saccheggiare. È notte, non vedo nessuno. Il compito appare agevole, tanto che mi dilungo in qualche disquisizione critica sulla carriera discontinua del regista. A un certo momento salgo i gradini di una scala a chiocciola che conduce nella mansarda, presagendo che stia per sopraggiungere la polizia (l'ho chiamata io?). Sento dei rumori giù da basso, voci, colpi di rivoltella: gli agenti sono entrati e stanno arrestando i miei compari. Prendo in spalla il sacco colmo di refurtiva e salto dall'abbaino dentro un grosso cumulo di neve che attutisce la caduta.
Dissolvenza in nero. Adesso sto guidando un'auto di grossa cilindrata, americana, tipo Buick Riviera, circondato da un paesaggio imbiancato senza confini. Esibendo documenti falsi ho preso un aereo che dalla Gran Bretagna mi ha portato nel Saskatchewan e qui ho affittato una vettura. Sul sedile posteriore sta il sacco pieno di preziosi. In questa landa desolata, dove vivono solo gli orsi, mi attende una donna, un'Inuit. Con lei comincerò una nuova vita, in una capanna di legno tra i ghiacci, lontano dal mondo e dagli affanni.