Conosco le colline terrose dell’astigiano, il verde che si apre agli occhi lungo i tornanti che salgono a scendono e ubriacano di vino rosso, i filari, i paracarri, e sopra i campi si apre un cielo a dismisura, mentre nel cuore cresce la nostalgia di un mare lontano che, se alzi lo sguardo e aguzzi la vista, ti pare persino di vedere - e comunque lo annusi come un can da trifule, ne percepisci la salsedine portata dal vento. È la nostalgia di un Altrove sempre e solo sognato che morde le caviglie, che prende un ritmo migrante eppure familiare, come polvere fine su questa provincia antica che non è ancora stanca. Per questo, quando ascolto le canzoni di Paolo Conte, mi impregno di un'atmosfera che scava sotto le mie radici e so benissimo cosa significa e quali umori, quali emozioni e quali ricordi riporta alla luce – veri o immaginati che siano.