Ai tempi in cui questo blog era ospite del sito online de La Stampa, accadde un fatto curioso. Avevo scritto un articolo in cui paragonavo Mediaset all’Ovra: si trattava di una provocazione e in quel contesto storico, era il 2009, a parer mio ci stava. Tra i vari commenti più o meno concordi che arrivarono, uno piuttosto squinternato attirò la mia attenzione: un tizio (che chiaramente non stava molto bene) sparava ad alzo zero contro alcuni dipendenti del Biscione, in particolare citando una giornalista alla quale dava (papale papale) della zoccola. Per il tono e gli argomenti usati mi parve fosse qualcuno interno all’azienda. Non ci feci tuttavia caso: i matti nel web abbondano, si sa, ed io non mi sento responsabile delle loro credenze.
Ci fece più caso invece l’avvocato della suddetta giornalista, che mi inviò un’e-mail furente nella quale ingiungeva di rimuovere immediatamente il commento del tizio minacciando azioni legali nei miei confronti in quanto gestore del blog. Rimasi lì per lì perplesso, pensando ad uno scherzo. Il giorno successivo, però, mi arrivò una seconda e-mail dai contenuti ancora più sinistri, e solo allora decisi di cancellare il commento offensivo. In verità, per un istante, pensai di non fare nulla: La Stampa sarebbe stata coinvolta in quanto sito ospitante e il caso avrebbe forse acquistato una certa risonanza (mi immaginavo già concedere bellicose interviste al Tg3). Poi considerai che l’Editrice La Stampa si sarebbe probabilmente rivalsa su di me per non aver eliminato il commento in questione. Tutta pubblicità per questo blog, va bene, avrei potuto atteggiarmi a vittima di un complotto plutomassonico, ma alla fine lo rimossi e la storia finì lì.
Ora: Beppe Grillo, citato in giudizio per calunnia e diffamazione a causa di alcuni post pubblicati sul proprio blog, si difende affermando che esso non è riconducibile a lui. Pare che, effettivamente, Il Blog di Beppe Grillo sia blindato con un sistema a scatole cinesi per cui il Nostro, pur essendone indiscutibilmente l’autore, non ne ha la reale titolarità. Titolarità che, peraltro, non è neppure facilmente individuabile. Insomma: si tratta di una furbata abilmente architettata e per motivi che si intuiscono (giudiziari, ma entrano in gioco interessi economici). Non ho potuto fare a meno di confrontare questa vicenda con quella, minima, in cui sono stato coinvolto. Mi viene da pensare che l’intreccio tra politica e affari coinvolge anche soggetti apparentemente insospettabili. E che uno non vale uno nemmeno nel magico mondo del web.
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