Nel limite di un sobrio riserbo prendo un tono distaccato,
apparentemente un poco vago, per non dire inavveduto.
Lo sguardo fisso altrove ad inseguire chissà quale pensiero,
dissimulando il fastidio che mi tocca nell’esser costretto
a fornire dopotutto una risposta men che personale.
Ma è la disincantata melanconia dell’intelletto,
l’ilare immatura incredulità dello scettico
a impedirmi una sana catartica disperazione.
Rendo perciò interrogative le affermazioni
e virgoletto le convinzioni a me più care,
rimuovo con un’alzata di spalle quei sentimenti
che fino a ieri, lo confesso, mi toccavano,
facendo dell'ironia su quelle credenze
per cui un tempo avrei sacrificato qualcosa.
Mi domando quanto ancora io dovrò vivere
per dimenticare che sono pur sempre vivo.
(prima stesura: 1992)
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