Ci si confida perché il segreto conservato nel cuore è troppo importante per rimanere rinchiuso. Si percepisce che la persona che l’accoglierà sarà capace di custodirlo e averne cura, come fosse la cavità di una quercia. Tra chi lo rivela e chi lo riceve si stabilisce un rapporto di tacita complicità, fondato sulla stima e sulla fiducia, nella non celata speranza che il confessore diventi a sua volta parte del segreto. Si stipula con lui un patto, segreto anch’esso.
Un segreto me lo raffiguro come una cipolla, formato da un bulbo disposto a strati. Esistono cioè diversi livelli di confidenza: solo raramente si arriva al nucleo, a una rivelazione completa, più spesso ci si ferma alla buccia. Dipende dall’intimità che abbiamo con il confidente, ma anche dal fatto che non siamo capaci di penetrare le regioni più profonde di noi stessi. Oppure preferiamo racchiudere il segreto in un involucro rigido, impermeabile, da seppellire in qualche recesso della mente. Come una cisti destinata prima o poi a seccarsi. Sempre che non prenda invece a dilatarsi, a chiedere spazio, che non diventi, a un certo momento, un peso insostenibile.
Trovata. Ecco la citazione che cercavo. Tratta da Il settimo velo, un film del 1945 diretto da Compton Bennett.
"La mente umana è come Salomè. All’inizio della sua danza è nascosta al mondo esterno da sette veli. Veli di pudore, di paura… Con gli amici, in genere, si lasciano cadere alcuni veli, forse tre o quattro in tutto. Con l’amante cinque o sei. Ma giammai il settimo, perché la mente umana copre la sua nudità, nasconde i pensieri segreti. Salomè abbandonò il settimo velo spontaneamente, ma questo non accadrà mai con la mente".