Una ragazza dalla faccia sfrontata, il corpo minuto fasciato di pelle nera, la chitarra basso buttata a tracolla. Lei era Suzi Quatro. Quando la vidi in fotografia per la prima volta ebbi un precoce rimescolio di sangue nelle vene pubiche. Poteva essere il 1973 o il ’74: quel look, quel piglio energico, aggressivo, richiamava sensazioni confuse cui non sapevo dar nome. La sua voce dal timbro graffiante tirava fuori un modo irriverente di essere donna che funzionava come una rivelazione – di più, uno shock. Suzi poteva essere una specie di sorella maggiore che mi iniziava a segreti indicibili da cui farmi deliziare.