Terminata la visita al Musée Chagall, recupero l’auto parcheggiata nelle vicinanze e mi instrado per la ripida discesa di boulevard de Cimiez. Sono quasi due anni che non vengo a Nizza: erano i giorni precedenti l’attentato e i Bleus stavano per giocare la semifinale dell’Europeo. Amo questa città e ogni tanto provo il bisogno di rivederla, di sapere che è sempre là, ad aspettarmi.
Un pannello lampeggiante segnala che il centro e la Promenade des Anglais sono chiusi per la sfilata carnevalesca. Alcuni flic con paletta e aria nervosa invitano gli automobilisti a deviare verso Nizza Est e l’A8. Il carnevale in Quaresima mi sembra una tradizione incomprensibile, tuttavia non perdo la pazienza: forse non era ancora giunto il momento di ritornare, saprò attendere e comprendere.
Imbocco allora la Basse Corniche in direzione di Villefranche, mentre la pioggia comincia a cadere fitta. Mi fermo nei pressi del porto per una fotografia alla rada che mostra un’insolita luce grigio cenere, mesta, stranamente poco accogliente. Una petroliera è ormeggiata al largo e sullo sfondo scorgo il faro di Cap Ferrat in cui fantasticavo di andare a vivere. Quel tempo è invece già passato e non tornerà.
Il carnevale mi ha richiamato alla memoria À propos de Nice che ho rivisto qualche sera fa. C’è un dettaglio cui non avevo posto sufficiente attenzione: le facce al sole che sembrano uscite da un quadro di Grosz sono identiche a quelle che puoi vedere oggi sulla Prom’. Non appartengono più all’alta borghesia che svernava sulla Côte nel primo dopoguerra ma ad una classe sociale indistinta, omogeneizzata, senza nazionalità né segni distintivi. La stessa che potresti trovare a Soči come ad Antalya.
(25 febbraio 2018)