Non riesco a immaginare come i manuali di storia del futuro racconteranno questo tempo presente ai posteri, quale giudizio daranno alla campagna elettorale del 2018 che ci siamo appena sorbiti.
È stata una campagna insulsa, priva di contenuti, in cui hanno prevalso le strategie di marketing senza che emergessero progetti politici di qualche spessore. Le solite facce hanno recitato i soliti ruoli dicendo ciò che la gente già si aspettava, tendendo agguati agli avversari ed evitando confronti diretti. Il dibattito ha ruotato intorno a pochi temi resi opportunamente salienti e trattati a colpi di slogan. Ormai si gioca sull’ignoranza della gente, sobillandola o impaurendola a seconda dei casi. I rari coup de théâtre sono apparsi prevedibili e comunque poco efficaci (talora addirittura grotteschi).
I leader appaiono deboli, inadeguati, persino incompetenti, le idee latitano, prevalgono gli interessi di parte, manca una visione organica del futuro. Sono aspetti preoccupanti che non riguardano soltanto la politica italiana, beninteso, ma quella dell’intero “Occidente” (a cominciare dagli Stati Uniti).
I leader appaiono deboli, inadeguati, persino incompetenti, le idee latitano, prevalgono gli interessi di parte, manca una visione organica del futuro. Sono aspetti preoccupanti che non riguardano soltanto la politica italiana, beninteso, ma quella dell’intero “Occidente” (a cominciare dagli Stati Uniti).
Quando ero ragazzo contestavo l’espressione “votare il meno peggio” che i miei genitori usavano, versione soft del montanelliano “turandosi il naso”. L’espressione continua a non piacermi, ma stavolta andrà così.