La rivide a un concerto, la notò per l’elegante cappello e i guanti chiari che teneva in grembo. Chloé sembrava in posa, immobile come in un quadro di Renoir, il volto algido e senza età. Le si avvicinò alle spalle e rimase sorpreso dal suo pallore, per quelle guance incavate che separavano gli occhi azzurri dalla piega stretta delle labbra. Si convinse che fosse in attesa di qualcuno e non si fece avanti, come se temesse che lei sospettasse un’accurata messinscena. Sul momento non rifletté se avrebbe nuovamente avuto l’occasione o il tempo di vederla.
Uscendo da teatro considerò che le persone si incontrano, qualche caratteristica superficiale le colpisce e riempiono il vuoto con quello che vogliono credere. Non sapeva quali sentimenti possano spingere a un tale comportamento, ma non gli pareva sorprendente che ci si possa sentire più sicuri con una persona che non si conosce, di cui si ignora persino il nome.
Quando il ricordo di Chloé si era fatto più intenso aveva capito che quel momento felice, fatto di desiderio e slanci inconsueti, non può durare a lungo. Il peso della realtà da cui tutti siamo afflitti fa sì che ci si perda, per noncuranza o banale distrazione, a causa di quei vizi o debolezze che con un po’ di cura si potrebbero agevolmente evitare. Si rammaricava soltanto di non riuscire più a ricordare le ultime frasi che lei gli aveva rivolto, perché forse da quelle parole avrebbe compreso qualcosa di importante che gli era sfuggito.
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