Nella nostra epoca di turismo omologato non è facile immaginare il fascino chic e un po’ esotico che emanava Villefranche-sur-mer, piccola località della Côte d'Azur a pochi chilometri da Nizza.

“Villefranche est mon île”: Villefranche è la mia isola, affermò una volta Jean Cocteau. Un’isola di cui il “principe dei poeti” (1889-1963) fu il faro che raccolse nella sua luce artisti e intellettuali tra gli anni ’20 e ’50 del Novecento. Nella nostra epoca di turismo omologato non è facile immaginare il fascino chic e un po’ esotico che emanava questa piccola località della Côte d'Azur a pochi chilometri da Nizza. Incastonata in una profonda baia costellata di imbarcazioni da diporto, provvista di un piccolo porto su cui si affacciavano eleganti caffè, Villefranche-sur-mer era frequentata da scrittori del calibro di Francis Scott Fitzgerald, William Somerset Maugham, Graham Greene e pittori quali Picasso, Matisse e Cézanne. Ai tavoli della Mère Germaine, il ristorante più rinomato per l’atmosfera e il buon cibo, si sedevano Isadora Duncan, Francis Cyril Rose, Igor Stravinskij. Anni Folli, così i francesi chiamarono quell’intermezzo tra la I e la II Guerra Mondiale scoppiettante di vitalità creativa e mondana.
Il giovane Jean Cocteau soggiornò quasi ininterrottamente a Villefranche tra il 1924 e il 1935. Il piccolo e curato Hôtel Welcome affacciato sulla rada divenne il rifugio nel quale trovò conforto per la morte di Raymond Radiguet, cui era legato da affettuosa amicizia. Nella stanza numero 22 trasse ispirazione per i suoi lavori più importanti, da La Voix Humaine a Les enfants terribles, fino a Le Testament d'Orphée.