Ogni volta che entriamo in relazione e interagiamo con qualcuno, si determina in noi un cambiamento. Quando ci troviamo davanti la persona il pregiudizio si attenua, a volte scompare. Non la si vede più come un essere indistinto, estraneo, ma come individuo, identità unica e irripetibile. Ha un volto, occhi, mani, una lingua, un sesso. Porta dentro di sé una storia - la sua storia -, composta da trame complesse, intrecci multiformi che si mescolano dando vita a un’infinità di altre storie, tutte differenti tra loro e nessuna di esse predomina veramente.
Le relazioni che intrecciamo sono caratterizzate dalle emozioni e la scrittura è un modo per provare a comprendere tutte queste emozioni.
Ci vuole tempo. Comincio a scrivere senza sapere a cosa vado incontro: avverto solo qualcosa, una pulsione, il desiderio e la voglia di creare affiorano come per magia. Fino a due minuti prima avevo il timore di fissare lo schermo bianco del personal computer ma poi, quando inizio a scrivere, non mi fermerei più. È irresponsabile, lo so, come se l’atto creativo derivasse da un sortilegio cui delego interamente le mie capacità, che sono invece reali e hanno una spiegazione logica. Però è bellissimo credere che sia così: un puro ed inspiegabile incantesimo, una specie di miracolo la cui ripetizione rassicura e conforta.
L’ispirazione sta da qualche parte, in qualche luogo immateriale che è contemporaneamente dentro e fuori di me. È una specie di percezione, una suggestione. Faccio del mio meglio per condurla sul piano della consapevolezza, cerco di comunicare in modo accettabile che cosa significa per me vivere “quel” determinato momento. Mi sento presente a me stesso e provo un sentimento di autentica pienezza, da cui scaturisce un dolce benessere.
Di solito i miei scritti prendono origine da pensieri che ho in mente da tempo, pensieri ai quali non ho ancora dato voce. Ad un certo momento, per qualche insondabile motivo, provo il desiderio di dar loro una forma compiuta e immaginarne il senso. È un processo che costa fatica, anche fisica. Trovo che scrivere sia davvero difficile, diffido di chi afferma il contrario. Occorre lasciar fluire liberamente le emozioni, mantenendo al tempo stesso alta la soglia dell’attenzione e della concentrazione. È una specie di caos controllato.
Dare ordine e coerenza ai propri pensieri è un lavoro lungo, perennemente in divenire, che porta via molto tempo. Non sono mai certo di riuscirci fino in fondo e in maniera efficace. Produco parecchie versioni dello stesso brano - che sia un post per il blog, un articolo di giornale o una lettera personale: ogni volta ricomincio da capo, limo, correggo, preciso, aggiungo particolari, elimino il superfluo. Cerco di attribuirgli il giusto respiro, l’intonazione che sento adatta. Lo faccio decantare un po’ come il vino rosso che, dopo aver preso aria, è più buono e corposo.
Perché scrivo? A chi me lo chiede, rispondo sempre in maniera diversa. Oggi mi viene da dire: scrivo perché non capisco il significato dell’esistenza e avverto il bisogno di pormi qualche domanda, senza per questo credere di ottenere una spiegazione definitiva.
(Photo by Pim)
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