<< Questo premio non è per me ma per i grandi registi che mi hanno diretto. Non ci sono più, lo ritiro per loro >>. Così Alain Delon al momento della consegna della Palme d’Or alla carriera.
Non si tratta di (falsa) modestia: Alain è stato un simbolo, un’icona piuttosto che un grande attore. È il suo indubbio fascino ad aver lasciato il segno nell’immaginario erotico (femminile e maschile). Di spessore i suoi ruoli nei film di Visconti (cui fece perdere la testa) Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo. Per il resto il suo percorso artistico annovera qualche altra buona interpretazione (ricordo Le samouraï, Le Clan des Siciliens, La prima notte di quiete), il resto fa numero. Con una brillante, incantevole eccezione: La piscine.
Non che il film sia un capolavoro, ma Alain e Romy (Schneider) inondano lo schermo con la loro bellissima e sfrontata presenza fisica. I due si piacevano. Di più: si facevano sangue. Gli sguardi maliziosi che si rimandano a vicenda lasciano intendere una passione scoperta, evidente, priva di pudore. << Non riesco più a guardare questo film perché mi emoziona pensare a lei. Sentir dire a Romy “Ti amo” e sapere che non c’è più… non ci riesco >>.
Alla fine, che piaccia o no, bisogna ammettere che Alain ha incarnato l’epoca d’oro del cinema, quella dei divi. Quell’epoca sta oggi morendo senza lasciare eredi. Con essa anche un certo modo romantico di fare e di intendere il cinema: come vocazione, come necessità di comunicare la propria interiorità, non come mestiere, come prodotto di puro intrattenimento, ma come arte.