Massimo Troisi aveva qualcosa in comune con me: una cicatrice sternale, un ticchettio dentro il torace e la stessa propensione a riderci su.
<< Era ossessionato dalla riservatezza, dalla non contaminazione dei suoi 'tempi lenti', pigri. Portarlo ad un cinema o semplicemente a cena era uno sforzo disumano. Ma quella che poteva apparire indolenza era sicuramente legata ad un senso di precarietà fisica che lui percepiva molto bene. Nessuno di noi ormai faceva più caso a quel rumoroso tic tac che sentivamo sotto la sua camicia: era diventata una consuetudine, addirittura un aspetto della sua personalità. Quel tic tac non regolare, fatto di pause lunghe che ci facevano sbiancare dalla paura. Ma lui ci scherzava sopra, ci rideva addirittura con filosofica rassegnazione >>.
(Carlo Verdone, da www.carloverdone.com/scrittiericordi.aspx)
<< Sulla sua strada, se fosse vissuto, se non ci fosse stata quella cicatrice immensa che partiva dal collo e gli attraversava il petto, se non avesse avuto dentro quel marchingegno che faceva tic tac, talmente forte da sembrare una sveglia, ci sarebbero stati tanti altri ruoli, tanti altri successi >>.
(Teresa De Sio, da www.lastampa.it/2014/06/03/spettacoli/de-sio-senza-lui-davvero-non-ci-resta-che-piangere-E3uiDKwlwqXO3VWHsh5cJL/pagina.html)
Massimo era stato operato per una sostituzione valvolare nel 1976, una decina di anni prima che mi capitasse la stessa sorte, quando questo genere di intervento era complesso e il rischio piuttosto elevato. Aveva poco più di vent’anni, come me nel 1987. Lui la valvola mitrale, io quella aortica; la sua distrutta da uno streptococco, la mia da uno stafilococco; lui a Houston, io a Genova.
Nel tempo che seguì gli si manifestarono però i sintomi di una patologia più grave, una cardiomiopatia dilatativa ingravescente: in altre parole, il suo cuore tendeva ad aumentare di volume con gravi complicazioni sullo stato di salute. Agli inizi del 1994, poco tempo prima di girare Il postino, si era recato a New York per un consulto. Gli sarebbe toccato un trapianto di cuore: lo sapeva, ma si proteggeva dalla comprensibile preoccupazione sfoderando un invidiabile sense of humour. Lo stesso meccanismo di difesa, il più evoluto secondo Freud, che ho usato anch’io nei (non pochi) momenti di difficoltà.
Anche questo aspetto mi rende cara la figura di Massimo. Il suo destino e il mio, un destino severo e inspiegabile, si assomigliano molto. La differenza sostanziale sta nel fatto che io ho ancora la fortuna di potervi raccontare questa storia.