L'isolamento sociale è l'unico meccanismo di difesa certo che abbiamo nei confronti del coronavirus (come di qualunque altro virus che si trasmetta per via respiratoria). Sull'utilizzo dei tamponi e delle mascherine come strumenti preventivi si può discutere, sullo stare a casa no.
Alla faccia di certi slogan faciloni, una buona fetta della popolazione dimostra di non essere capace di stare in relazione, di considerare l'altro come prossimo. Sebbene molti si lamentino di questo confinamento forzato, nella nostra società manca proprio la cultura della convivenza, che significa prendersi cura gli uni degli altri. Ognuno pensa per sé, senza tenere conto che siamo membri di una comunità e che gli effetti delle azioni individuali ricadono sulla collettività in quanto condividiamo un destino.
Tutelare la salute personale significa contribuire alla salute pubblica, che è il bene comune più importante. La salute ci consente di esercitare appieno tutte le altre forme di libertà: la libertà di socializzare, di muoverci, di viaggiare, di lavorare e studiare, di partecipare alla vita pubblica, di essere insomma cittadini nel pieno possesso dei nostri diritti.
Tutto andrà bene quindi se ciascuno farà la propria parte, mettendo in atto comportamenti virtuosi, responsabili, con consapevolezza e spirito di collaborazione. Soltanto se ci consideriamo persone in relazione le scelte e le decisioni, che in ogni momento siamo chiamati a prendere, acquistano senso e risultano più naturali.