Non sono bravo a descrivermi, lascio che le persone si facciano un'idea di chi sono attraverso i gesti e i comportamenti. Quando si stabiliscono delle relazioni come la nostra, basate sulla scrittura, si è costretti a operare una sintesi che forza il senso delle cose. La mancanza di contiguità taglia inoltre fuori tutte le componenti extraverbali della comunicazione che contribuirebbero a chiarire il significato di certe espressioni. In ogni caso, credo di essere una persona piuttosto comprensiva se non tollerante: il che spiega almeno in parte l'andamento di certe situazioni che tu potresti giudicare insopportabili [...]. Sin da ragazzo, quando ancora ignoravo chi fosse Rogers, ho sempre adottato un atteggiamento non giudicante. Il che non significa avere un atteggiamento condiscendente: significa ascoltare in silenzio, sforzarsi di capire le motivazioni che portano le persone ad agire in un certo modo e magari fare qualcosa per aiutarle. Sono anche disposto a tollerare, entro limiti definiti, certe anomalie, certe stranezze, perché neppure io sono immune da comportamenti che potrebbero essere ritenuti inadeguati.
[...]
Comunque ogni limite ha la sua pazienza, avrebbe detto Totò. Comunico continuamente il mio punto di vista, i miei stati d'animo: la controparte (definiamola così) sa benissimo che, superato il limite di sopportazione, reagisco con forza. Per quanto il mio carattere sia flessibile, disposto alla negoziazione, viene il momento in cui divento irremovibile e intrattabile. Potrei citarti molti episodi al riguardo nei quali ho dato sfogo alla parte che ritengo peggiore di me. Sono caratterialmente un non-violento, non ho mai alzato le mani su qualcuno (neppure da bambino), sfogo la mia aggressività verbalmente oppure mettendo in atto comportamenti oppositivi. Non è un buon metodo ma di solito ottengo qualcosa: se non altro un po' di rispetto, ecco. Sono capace comunque di serbare rancori interminabili - e riconosco che anche questa non sia una virtù.
(Lettera privata, 1 settembre 2020)