Faceva freddo quel giorno, l’inverno non aveva ancora mollato la presa. Sul viale a mare soffiava un vento di maestrale che, nella luce obliqua del mattino, faceva lacrimare gli occhi. Rinserrata nel suo piumino blu, Erika parlava senza posa. Il suo dolce accento toscano risuonava alle mie orecchie come una carezza. << Carnevalaro è un termine viareggino che indica le persone amanti del carnevale, che riescono a viverlo per tutto l’anno partecipando a ogni sorta di manifestazione che lo riguarda >>. Scoppiò in una sonora risata: << Noi viareggini nasciamo con i coriandoli nelle vene! >>.
Per amare il carnevale bisogna conoscere bene quello spirito, pensai, entrarci in contatto, assorbirlo. Non basta indossare una maschera come facevo io quand'ero bambino, travestirsi e inventarsi personaggi. Tra l'altro non ero neppure capace di lanciare i coriandoli e quando i compagni di classe me li tiravano addosso ci rimanevo sempre un po' male. Comprendevo ancora meno il senso delle giostre, quando si dislocavano in tutta Piazza Vittorio: a dire il vero mi mettevano tristezza - chissà perché. Per non dire delle sfilate in maschera, dei carri allegorici. Ho sempre vissuto il carnevale con un certo imbarazzo, insomma. << Sai >>, le dissi, << In questo periodo dell'anno ripeto sempre che mi diverto molto di più durante la Quaresima >>.
<< Scemo >>, rispose Erika prendendomi sottobraccio. << Il carnevale devi viverlo e prenderti il bello. A Ivrea non avete la battaglia delle arance? Ricorda un episodio accaduto nel Medioevo, mi pare… Vedi, devi andare alla riscoperta delle radici di questa tradizione >>.
Feci una smorfia. << Il carnevale di Ivrea, dici? Un branco di buzzurri che spende 150 euro per tirare le arance a un altro branco di buzzurri sui carri? Occhi pesti e zigomi fratturati non si contano… E poi >>, dissi imitando la sua parlata, << un'è bello spiaccicare le arance per strada >>.
Erika mi affibbiò scherzosamente una manata sulla spalla. Poi, passandosi una mano tra i capelli neri scarmigliati dal maestrale, assunse l'aria della giovane professoressa. << La tradizione del carnevale viareggino nasce a metà dell'800 dal nostro spirito anarchico. A quel tempo, quando sfilavano i carri addobbati, non esistevano più distinzioni fra poveri e ricchi. La città era governata allegoricamente da un fantoccio appeso in piazza. Si trattava di uno sberleffo, capisci? Satira politica. Ma non bisogna dimenticare i richiami alla commedia dell’arte: la maschera di Burlamacco è il simbolo di Viareggio >>.
Entrammo in un bar, ci sedemmo e ordinammo due cioccolate. Erika mi aveva confidato che le sarebbe piaciuto venire a Torino per assaggiare il bicerìn, di cui aveva sentito molto parlare. Seppi in seguito che lo fece, senza dirmi nulla, ma quella è ancora un'altra storia.
<< Carnevale è per me soprattutto l'odore della cartapesta, materiale povero, di recupero, fatto con giornali, colla e tanta fantasia >>, riprese poco dopo stringendo a sé la tazza bollente. << Lavorare la cartapesta è qualcosa di stupendo perché si riesce a dare forma al proprio mondo interiore. Io l’ho sperimentato con mano. La bellezza è proprio quella di imbrattarsi, di modellare, di aspettare e, alla fine, dare dei bei colorini vivaci. E poi i carri… Un tempo venivano costruiti dai maestri d’ascia che, nel periodo invernale, erano a riposo dai cantieri navali e quindi ci si potevano dedicare >>.
<< Raccontato da te che sei di Viareggio >>, chiosai, << lo spirito del carnevale assume un fascino particolare >>.
<< Per noi gente di mare l’inverno è lungo e più triste che in città. Siamo abituati a guardarlo ogni giorno, il mare. Abbiamo l'orizzonte sempre davanti >>.
Fuori dall'ampia vetrata osservavo intanto le onde che si agitavano disordinatamente, sormontate da una bava di spuma biancastra. << È vero, l'orizzonte… >>, mormorai.
<< Il carnevale ci serve per esorcizzare la malinconia, il senso del distacco, l’attesa della bella stagione. Si, il carnevale aiuta ad allontanare i brutti pensieri e a ricordarci che, a breve, sulle spiagge ricompariranno gli ombrelloni, che ci saranno ancora persone e ancora nuove storie da incontrare >>.
Conoscevo quello sguardo che Erika aveva dipinto sul volto, quell'espressione pensosa negli occhi scuri. Richiamavano alla mente il molo in legno di un porto bretone in cui ero stato molti anni prima: stesso colore, stessa consistenza, stesse crepe.
Fu questione di un attimo. Erika scacciò rapidamente i fantasmi con un ultimo sorso di cioccolata. << Negli anni il Carnevale è cambiato, ha assunto volti complementari: quello della festa popolare che richiama turisti da tutte le parti del mondo, ma anche di un'opera artistica vera e propria. I carristi si avvalgono di musicisti e coreografi professionisti. Alcuni carri mi fanno sorridere, come quello delle nostre pisalanche. Altri mi fanno sognare perché ricordano il cinema, i bozzetti di Fellini, il mondo dello spettacolo. Altri ancora riescono persino a farmi commuovere. Alla fine le emozioni prendono tutti i colori, come i coriandoli. Mi rendo conto che, a volte, non c’è niente di più vero che una mascherata >>.
(Dedicato con affetto a Erika, a Viareggio e al suo carnevale)