<< Non so tu. Io mi sento come svuotata, apatica. Niente più palestra, niente piscina, viaggiare è un sogno ormai lontano. Semplicemente un aperitivo al bar, non chiederei di più >>. La voce di Giada mi giunge lontana, ma non si tratta soltanto della ricezione telefonica disturbata.
<< Non ho una vita mondana come la tua, a me basta avere i miei film e i miei libri >>, rispondo mettendoci un pizzico di ironia. Mi diverte l’idea di passare per un eremita, cosa che peraltro si confà alla mia indole, ma sono consapevole che questa pandemia sta mettendo a dura prova il nostro essere-nel-mondo. << A parte le battute, capisco ciò che intendi. È che questo periodo difficile si sta prolungando oltre ogni limite di sopportazione >>.
<< Sembrano siano passati secoli, non un anno >>, continua lei. << Viviamo in uno stato surreale di sospensione della vita, in un incubo infinito. È cambiata un'epoca. Io stessa mi sento profondamente diversa dalla donna che ero, non mi riconosco più. Che fine hanno fatto quelle giornate che si avvicendavano a un ritmo vorticoso, apparentemente piene di tutto? Erano veramente giornate intense o non erano forse, in realtà, più vuote e insignificanti delle attuali? Questa spirale di angoscia in cui sono precipitata mi avvinghia strettamente. Mi sento prigioniera di me stessa e di un futuro che appare adesso imprevedibile, denso di enigmi sempre più difficili da sciogliere. >>
Non è facile trovare le parole adeguate ad arginare un simile sfogo. Vorrei offrire a Giada una speranza, come diceva il vecchio professor Blandino, ma non trovo appigli concettuali certi cui aggrapparmi. La verità è che fatico a crederci pure io. È difficile fare un esame della realtà quando questa realtà appare cangiante e sfuggente. Come scovare le forze vitali quando queste sembrano sopraffatte dagli eventi esterni. Dove cercare una luce quando tutto intorno è tenebra e nebbia. Forse c’entra poco, ma mi viene in mente Chalmers con il suo esperimento mentale. << Vedi, non bisogna permettere a questo virus di trasformarci in zombie, in esseri privi di coscienza. Sarebbe la peggior forma di contagio possibile. Proviamo invece a distaccarci per un po’ da questo clima opprimente e riprendiamo contatto con la parte più profonda di noi. Prendiamoci cura di noi stessi. Prendiamoci cura di chi ne ha più bisogno e ci chiede aiuto >>.
In tutta sincerità, dubito che le mie poche parole abbiano fatto breccia nell'animo tormentato di Giada. Appoggio lo smartphone sulla scrivania e guardo fuori dalla finestra. Nel constatare che la primavera si sta riappropriando del mio giardino avverto un'improvvisa quanto inaspettata felicità. Affermare la vita, andarla a trovare dove essa si trova, anche nell’oscurità più fitta, rianimarla e permetterle di rifiorire. Che sia questo il senso?
(photo by Pim)