Tu pensi troppo. Questa frase, sentita molti anni fa, mi è rimasta impressa nella mente perché chi la pronunciò aveva ragione.
Pensare troppo è un problema, non lascia la mente libera di ospitare il silenzio. Il ronzio che fanno i neuroni sopprime il vuoto interiore cui dovremmo dare spazio per arieggiare il cervello. Anche i miei sogni sono intrisi di pensieri. Le immagini oniriche sono accompagnate da un soliloquio continuo, una voce fuoricampo che le descrive e le analizza senza sosta. Una voce narrante che mi sommerge di parole, a lungo andare soffocante. I residui della giornata trascorsa si mescolano a intuizioni e preoccupazioni che assumono la forma di istantanee di cui provo a districare il filo logico. Al mattino mi sveglio stanco, con la testa piena, nonostante abbia riposato per un numero sufficiente di ore. La mente non lascia mai il corpo, l'attività cerebrale non si prende pause di ristoro neppure durante il sonno.
Vorrei tagliarla via, la mente, e guardare il mondo come fa un sasso oppure una pianta. Fermarmi e contemplare le cose intorno a me per come appaiono, limitandomi a considerare le qualità che si presentano ai sensi. Vorrei catturarne l'essenza, senza interpretare né giudicare, senza sovrastrutture. Vorrei provare la sensazione di esistere mantenendo un livello minimo di coscienza, incamerare sensazioni semplici senza che l'esperienza diventi oggetto di riflessione.
Invece non posso. Pensare è la mia condanna.