Amavo il suo gusto per i collage con cui assemblava citazioni dotte e birichinate tout-court, il suo mischiare continuamente riferimenti culturali alti insieme ad altri squisitamente banali. Mi seduceva la sua raffinata inclinazione nell’evocare e interpolare reminiscenze, falsi ricordi e déjà-vu. Mi sorprendevano le provocazioni beffarde che buttava lì unite agli squarci improvvisi di riflessione. La sua creatività mai paga l’ha condotto a sondare generi musicali eterogenei e forme d’arte quante le muse del pantheon.
Ma, in mezzo a tutte queste tendenze divergenti, Franco Battiato trascorse tutta la vita alla ricerca di un punto di equilibrio esistenziale, un centro di gravità che poteva essere trovato soltanto in uno spazio interiore lontano dalla quotidianità. La sua spiritualità non era imprigionata da rigidi presupposti confessionali bensì esprimeva una tensione interiore volta alla ricerca di una pace assoluta, adimensionale. Una pace che, spero, la sua anima abbia raggiunto ora, alla fine di questo breve viaggio terrestre che tanto diletto ha donato ai suoi ammiratori.