Questo lungo periodo pandemico, caratterizzato da un'interruzione forzata di quasi tutte le attività, non sta solo esacerbando gli animi ma - per fortuna - produce qualche effetto benefico. L'isolamento più o meno relativo cui sono stato costretto ha contribuito a farmi meditare su certe questioni rimaste in sospeso negli anni. Ad esempio, ho dato un taglio a certe relazioni sociali poco soddisfacenti e senza provare alcun rimorso. Ho ridotto il tempo trascorso sui social network, già limitato, deluso dall'atmosfera pesante che vi si respira. Di converso mi sono dedicato a qualche nuovo progetto, magari non imprescindibile però stimolante. E ho riscoperto il piacere di dedicare alcuni istanti della giornata a me stesso, a ciò che mi piace…
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È la banalità con cui può manifestarsi il male. In tutti noi esiste una parte buona, vitale, che tende alla realizzazione positiva di sé, e una cattiva, autodistruttiva, mortifera. Alcuni lasciano prevalere la seconda ma non è detto che siano, per questo motivo, psicopatici (nel senso lato del termine). Conta l'educazione ricevuta, certo, ma soprattutto la quota di libero arbitrio che ciascuno possiede. La psicopatia rappresenta un alibi comodo (anche processuale), la realtà può essere un'altra e più inquietante: le persone che adottano condotte per noi inspiegabili non sono folli ma perfettamente consapevoli di quel che fanno.
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Dopo aver fatto diverse esperienze sentimentali poco positive, sono giunto alla conclusione di quanto sia inutile, se non dannoso per la propria salute psicologica, rigirare il coltello nella piaga. Bisogna avere la determinazione necessaria per chiudere certi capitoli sfortunati della propria esistenza e lasciare andar via i ricordi che li accompagnano. Si rischia altrimenti di rimanervi fissati se non di finirne risucchiati come in un gorgo, per non uscirne mai più.
Ho vinto la tentazione di etichettare L. come un caso di narcisismo maligno tout court o di bollare G. come nevrotica per i meccanismi di negazione cui ricorre sistematicamente. Non mi sono mai pentito di aver lasciato L. e per giunta con modi poco urbani ma, pur con tutta l'esasperazione accumulatasi, non nutrivo sentimenti di odio nei suoi confronti - né li provo tuttora. Per quanto riguarda mia moglie, nonostante le divergenze profonde e le discussioni estenuanti, ho deciso alla fine di stipulare con lei una tregua che consentisse una quotidianità soddisfacente per entrambi.
Beninteso: non sono un santo e a certe conclusioni sono arrivato dopo aver fatto i conti con aspri conflitti interiori; credo però che, a un certo punto, occorra necessariamente riappacificarsi con il proprio passato. Non per tacitare la coscienza né tantomeno per convenienza sociale (me ne strafotto del giudizio altrui), semplicemente per continuare il cammino della vita senza pesi ingombranti da trasportare.
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C'è una frase che ripeto spesso: non è che non credo nell'amore, non credo nelle persone. Si tratta di un mot d'esprit, una provocazione che non rappresenta esattamente il mio pensiero ma che, tuttavia, racconta lo stato d'animo di questo periodo. Quietamente rassegnato.
(30 aprile 2021, corrispondenza privata)