Autore: Pim (---.25-151.libero.it) Data: 15-06-02 14:07
[…] Credo sia giusto ricordare Carlo Giuliani e la sua vita infranta. Non era un delinquente ma un giovane come ce ne sono tanti, con ardori e passioni tipiche di un’età in cui sono frequenti gli eccessi. Non credo sia giusto, invece, farne un santino: aveva un passamontagna in testa e un estintore in mano, che non sono precisamente la divisa di un pacifista.
Occorre certamente rispettare il terribile dolore dei genitori che l’hanno visto stramazzato in una pozza di sangue sull’asfalto di Piazza Alimonda. Mi pare doveroso partecipare commossi al loro lutto: la morte di un figlio, per qualunque causa e in qualunque modo accada, rappresenta forse l’evento più atroce che possa capitare a un essere umano. Non ho compreso le motivazioni che hanno spinto il padre Giuliano a candidarsi alle elezioni comunali di Genova, tuttavia non voglio giudicarlo per questo.
Credo che sarebbe giusto ricordare ogni tanto anche Mario Placanica, il giovane militare di leva che, vistosi circondato dai manifestanti, ha sparato - per difesa o per paura. Importa poco (o, meglio, importa solo agli avvocati difensori) se il proiettile sia stato deviato o meno dall’estintore afferrato da Carlo oppure da un calcinaccio. In base alle nozioni di Medicina Legale che posseggo, oserei dire che la probabilità che tali eventi si siano verificati (in particolar modo il secondo) pare minima. Ma, dicevo, poco importa.
Credo che sarebbe altrettanto doveroso tenere in considerazione il dolore dei familiari di Mario, poiché anch’essi sono stati colpiti da un evento penoso. Mario è un ragazzo com'era Carlo, e l’accusa di omicidio (sia pure per “eccesso di legittima difesa”) è una spada di Damocle che pende sulla sua vita futura.
Carlo e Mario sono, in realtà, entrambi vittime di questa dolorosa vicenda. Le vittime sacrificali, in un certo senso, perché non avrebbero mai dovuto trovarsi dove, invece, si sono trovati. Dove qualcuno ha voluto che si trovassero. Rimane in me fortissimo il sospetto che – diversamente da altri vertici dei G8 in cui era capitata solo qualche banale scazzottata – la tragedia sia stata deliberatamente premeditata e provocata.
Ricordo troppo bene fino a che punto i mass-media avessero soffiato sul fuoco dell’allarmismo nelle settimane precedenti il vertice, quasi ad aizzare le frange più estreme del movimento No-Global.
Ricordo troppo bene le tanto sbandierate misure di sicurezza intraprese e la trovata della “linea rossa”, che sembrava soprattutto una sfida ai più esagitati. Nel frattempo, il nostro Presidente del Consiglio si occupava dell’inestetismo dei panni stesi e delle piantine di limone da sistemare nelle strade.
Pur non essendo di Genova, ne conosco abbastanza bene il centro storico per non paventare che, così come organizzata, la situazione sarebbe divenuta ingestibile in caso di scontri. Se Carabinieri e Polizia avessero saputo – o voluto – gestire l’ordine pubblico come avrebbero dovuto fare, ora Carlo sarebbe probabilmente vivo e Mario non dovrebbe affrontare un processo per omicidio.
A mio parere, però, la responsabilità di ciò che è successo non va attribuita interamente a carico dei carabinieri e dei poliziotti che si sono trovati ad affrontare i black-blockers - sebbene, in base alle testimonianze che ho raccolto direttamente, abbiano pestato nel mucchio senza beccarne neanche uno. Sono convinto che la responsabilità sia invece da attribuire a chi ha avuto la volontà di fomentare – da un lato – e di controllare gli scontri in modo sommario – dall’altro. Mi riferisco alle alte gerarchie delle Forze dell’Ordine, sino ad arrivare al primo responsabile: il Ministro dell’Interno.
Sono consapevole che la mia lettura dei fatti possa non essere condivisa. Non avevo l’intenzione di affrontare l’argomento dal punto di vista politico bensì, più semplicemente, in chiave umana. Mi premeva esprimere l'idea che, al di là della diversa sensibilità individuale, bisognerebbe provare la stessa pietas sia per Carlo sia per Mario.
Non dimentichiamoli.
Entrambi.
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