<< Pim, sai che ti leggo con vero piacere. Scrivi bene, proponi argomenti davvero interessanti. Tu però voli troppo alto per la media. Che peccato... >>.
L'affermazione di Elsa mi coglie di controbalzo. Non mi sarei mai aspettato un'osservazione così diretta da una persona appena conosciuta.
<< Ti ringrazio, contraccambio l'interesse >> , rispondo prendendo qualche secondo di pausa per argomentare. << Non credo di volare alto... volo un po' sghembo, questo sì. >>
<< Sei anche modesto! >>, esclama lei, chiudendo il discorso e passando ad altro.
Mi prendo un istante per riflettere su quelle parole. Penso che farei bene a considerarle un complimento. Un complimento lusinghiero, perché pronunciato da una donna di cui ho immediatamente colto il valore. Dovrebbero instillarmi un logico sentimento di orgoglio, invece riconosco di aver provato lì per lì una vaga sensazione di disagio. Come se fossi stato beccato con le mani in un vasetto di marmellata.
Perché?
Provo a darmi una spiegazione.
Le parole di Elsa mi hanno fatto sentire fuori luogo, cosa che mi succede frequentemente fin dai tempi dell'infanzia. Dalle scuole elementari, per la precisione, quando i miei precoci interessi culturali finivano per isolarmi dai compagni di classe. Un bambino di otto anni appassionato di animali preistorici non poteva godere, almeno all'inizio degli anni Settanta, di una grande popolarità presso i coetanei.
(Ecco da dove viene la metafora della marmellata.)
Mi ritrovo nuovamente calato in un contesto, stavolta quello delle reti sociali, di cui, per distrazione o chissà quale mancanza, mi sfuggono le coordinate essenziali. Un contesto che mi appare imprevedibilmente estraneo, nel quale non so bene inserirmi, come muovermi. Che di conseguenza marca la mia distanza dalle cose, dalle persone.
Ho la netta impressione che Elsa abbia capito. Spiego così il senso di quel "che peccato", considerazione apparsa a quel punto del discorso del tutto incomprensibile. E che ora mi imbarazza ulteriormente.