Alzo lo sguardo sulla lunga fila di casette con le facciate tutte uguali. I numeri civici non corrispondono, sembrano succedersi a caso e tra essi non scorgo quello di casa. A ben pensarci non è neppure la strada dove abito. Come sono arrivato fin qui? Provo a ricostruire. Ho preso un autobus, il 50, che ha attraversato tutta la città - è una linea nuova, sostituisce il vecchio passante ferroviario, devo dirlo a mamma. E poi... poi ho dovuto percorrere a piedi l'ultimo tratto del percorso, non ho riconosciuto i luoghi e sono sceso troppo presto. Per fare più in fretta mi sono messo a correre all'indietro, come faccio nei sogni. Se ricordo bene ho visto qualcosa di strano alla fermata, qualcosa che non avevo mai visto prima, ma non so cosa. Adesso, a parte casa mia, non trovo più nemmeno il garage dove ho lasciato l’automobile appena comprata. Eppure, da qualche parte devo averla posteggiata, tengo persino in mano dei coprisedili nuovi - o forse sono quelli dell'auto che appartiene alla mia compagna di classe, quella che abita vicino a me, di cui mi sfugge il nome.
Decido di rompere gli indugi ed entro in un portone che fingo sia quello giusto - non lo è. Mi pare di essere finito in una specie di sauna, alcune persone portano un asciugamano bianco in vita e mi osservano senza dire nulla. Che situazione assurda. Dove sono? Che ci faccio qui? Istante dopo istante la sensazione di disagio si fa più acuta. Una consapevolezza atroce sta dilagando nei miei pensieri. Prendo per il braccio un uomo anziano con gli occhiali e la barba incolta, comincio a scuoterlo e a urlare: "Sono morto, vero?".
La mia compagna di classe mi guarda con aria compassionevole. Sì, dev'essere così, rifletto rapidamente: quando si è morti non si sa di esserlo. Ci si ritrova all'improvviso altrove, senza alcuna ragione, scaraventati in un mondo parallelo, occulto, incomprensibile. Le incongruenze hanno suscitato nella mia mente disorientata via via inquietudine, sgomento, angoscia. Ma la progressiva presa di coscienza dell’avvenuta morte arriva ora a provocarmi un attacco di terrore assoluto, totalizzante.
"Qualcuno mi dica quando sono morto! Come sono morto!", grido a squarciagola. Avanzo come un invasato lungo un corridoio con le pareti di legno perlinato, illuminato da luci al neon. “Dove sono, qualcuno mi dica almeno dove sono!".
Mi ritrovo davanti alla mia immagine, una specie di fantasma con il volto distorto da un rictus. Lanciando un lungo straziante ululato lo afferro ripetutamente per il collo: "Chi sono io? Dimmi, chi sono adesso?".
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