Arsène Lupin. Da bambino quella serie di telefilm mi affascinava più di ogni altra. Georges Descrières sapeva rendere talmente bene la figura di ladro gentiluomo - con il cilindro, il bastone, la marsina e il monocolo - che pareva impossibile non identificarsi in lui.
Le ragioni sono molte e facilmente comprensibili. Del personaggio mi colpivano di primo acchito l'eleganza, la raffinatezza dei modi, il sottile senso dell'umorismo, l'amore per il lusso e le belle donne. Mi intrigavano le sue capacità trasformiste. Ma non è tutto. Mi attraeva in particolar modo l'idea di poter trasgredire le regole sociali pur rispettandole formalmente. In altre parole, trovavo irresistibile l'idea di agire fuori dalle norme stabilite ma con stile, violare le consuetudini che avevo acquisito con l'eleganza, l'intelligenza e l'astuzia proprie del gentleman cambrioleur. Ne apprezzavo il codice morale, insomma, il fatto che i suoi furti ingegnosi avvenissero senza esercitare azioni violente sul malcapitato di turno - di solito un riccastro che non ispirava alcuna simpatia.
Il mio piano era quello di commettere un furto clamoroso - brillant comme le diamant, rapide comme le vent. Perle, rubini, zaffiri, smeraldi... Prima di sparire nel nulla, avrei lasciato il mio biglietto da visita come firma del colpo eseguito. Mi sarei ritirato impunito e senza sensi di colpa nel mio nascondiglio segreto, celato dentro una guglia di pietra a picco sull'oceano (l'Aiguille Creuse, bien sûr!). Ad attendermi una fascinosa ragazza bionda con un calice di Dom Pérignon in mano, amica e complice fidata, compagna insostituibile di mille avventure.