(Prima stesura: gennaio 1994. Revisione: novembre 2022)
Nella memoria ho ancora vivido il ricordo di certe domeniche degli anni ’70, trascorse interamente nella mia stanza, con una spiacevole sensazione addosso di vuoto temporale da riempire. Al mattino c’era la messa delle 11, che infondeva già una precoce malinconia, seguiva il pranzo al quale presenziava nonno Beppe che detestavo. Non vedevo l’ora di alzarmi da tavola per ritirarmi in camera e pensare a me stesso. Seduto alla scrivania, tra libri e quaderni aperti, aspettavo con pazienza le prime ombre della sera che, nei mesi invernali, scendevano quasi inavvertitamente.
Riempivo quei pomeriggi in compagnia della radio, una mediocre Inno-Hit dalla sintonia piuttosto avventurosa che, tuttavia, mi tenne compagnia per molti anni. La accendevo intorno alle 15,30 per l’inizio di Tutto il calcio minuto per minuto, appuntamento immancabile per i tifosi allo stadio e per quelli rimasti a casa. Dopo l'annuncio ufficiale pronunciato da uno speaker, la voce stentorea di Roberto Bortoluzzi salutava cortesemente gli ascoltatori informandoli sugli incontri che sarebbero stati trasmessi in diretta. << Ci collegheremo con Torino per Juventus-Inter, Milano per Milan-Torino, Firenze per Fiorentina-Roma, Bologna per Bologna-Napoli. E per la serie B... >>. Seguiva poi la citazione rituale dei cronisti, il cui nome è entrato nella leggenda dello sport: << Ai microfoni i colleghi Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Claudio Ferretti, Enrico Provenzali ed Ezio Luzzi >>.
Poiché il programma trasmetteva soltanto il secondo tempo delle partite di campionato, dopo un attimo di suspense creata ad arte si entrava nel vivo: << Via coi risultati dei primi tempi. A voi Torino... >>. Quando il radiocronista di turno dava il risultato parziale della partita nella quale era impegnata la Juventus provavo ogni volta un tuffo al cuore. Se la squadra stava vincendo prorompevo un'esclamazione di soddisfazione accompagnata dai pugni chiusi levati al cielo. Se invece pareggiava o, peggio, perdeva facevo un gesto di stizza in direzione dell’apparecchio radiofonico come per distruggerlo. Per inciso: quella era la Juventus di Zoff, di Scirea, di Gentile e Cabrini, di Causio, Cuccureddu, di Tardelli e Bettega. Era la Juventus di Boniperti e Trapattoni, una squadra composta da uomini vincenti che dominò per un decennio regalando grandi soddisfazioni ai tifosi bianconeri.
Era anche il tempo delle scuole elementari e delle medie, tempo nel quale le ore di libertà erano decisamente maggiori di quelle da dedicare allo studio. Gli ottimi esiti scolastici incentivavano apprendimento e resa: dedicavo ai compiti solo la prima parte del pomeriggio, poi correvo a giocare a pallone fino a sera.
Non ero un buon calciatore in erba: mi davo molto da fare ma non beccavo mai palla. I compagni di classe erano forse meno dotati intellettualmente ma tecnicamente si mostravano più validi di me: per compensare gli scacchi scolastici (o forse semplicemente per invidia) mi relegavano volentieri ai margini delle azioni di gioco. In certi casi finivo in porta e, almeno tra i pali, avevo l’occasione di mettere in mostra maglietta, pantaloncini e calzettoni della Juventus per cui andavo fiero.
Col tempo avrei imparato a destreggiarmi meglio e ad impegnarmi di più ma quei ricordi da comprimario non mi avrebbero lasciato mai.
<< Scusa Ameri, scusa Ameri, sono Ciotti... >>. La voce catarrosa del più inconfondibile tra i radiocronisti faceva irruzione con queste parole, interrompendo il collega per fornire la variazione di un risultato con il nome del marcatore. Restituiva quindi con maggior garbo la linea, rimandando a ulteriori e più dettagliate spiegazioni quando fosse stato il proprio turno.
Come dimenticare tutti i calciatori immortalati dalle figurine Panini, che facevano apparire già vecchi i loro volti, rendendoli pronti per entrare anzitempo nell’Olimpo del calcio italiano. A parte i fuoriclasse bianconeri (che componevano una formazione da mandare a memoria in saecula saeculorum) come potrei non ricordare i boccoli biondi di Antognoni, i baffi incolti di Claudio Sala, i gemelli del gol Pulici e Graziani. E poi mister-due-miliardi Beppe Savoldi, Francesco Rocca, l’antesignano dei moderni terzini di fascia, il giovane Paolo Rossi prima che diventasse Pablito. E il povero Renato Curi, morto d'infarto durante Perugia-Juventus nell’ottobre del 1977…
I canonici quarantacinque minuti della ripresa andavano a scadere come previsto e, una per una, le partite si concludevano. Negli ultimi istanti di gioco le voci concitate dei radiocronisti si sovrapponevano e si interrompevano ripetutamente per comunicare i risultati finali. Era il segnale che sanciva anche il termine del pomeriggio sportivo e faceva da preludio a una serata di quieta noia da trascorrere in famiglia.
Fuori intanto scendeva la notte. Una nebbia gelatinosa ristagnava lungo la strada risalendo sino alla sommità lattiginosa dei lampioni, e poi ancora più in alto sino a confondersi con l’oscurità. Osservavo dalla finestra le luci di un appartamento del condominio di fronte che si accendevano, cercando di immaginare una vita diversa da quella che conducevo. Non ero un bambino del tutto felice, un velo di inspiegabile tristezza rendeva talvolta opaco il mio umore. Troppi pensieri emergevano dal profondo, indistinguibili, misteriosi, privi di direzione definita. Mi sentivo scontento, provavo nostalgia per qualcosa di indefinibile che non mi apparteneva e che, forse, non sarebbe mai stato mio.
Mi sentivo solo, e solo mi sarei sentito ancora per molto tempo.
Il rito di Tutto il calcio minuto per minuto mi accompagnò a lungo negli anni, fin verso la metà degli anni ’80, quando terminai il liceo. Se i cerimonieri dell’etere con le loro voci dal timbro inconfondibile rimasero sempre gli stessi, si succedettero invece nuovi astri nel firmamento del pallone. La Juventus poteva ora contare su Michel Platini e sul fido scudiero Zibi Boniek, l’Inter annoverava tra le sue fila Altobelli e Rummenigge, la Roma di Liedholm conquistava lo scudetto guidata da Bruno Conti e Falcão. C’erano Socrates, Zico, Passarella… e Maradona. Hanno lasciato una scia lunga di ricordi sottratti al dominio del tempo, tra i quali ancora oggi, ogni tanto, mi perdo.