Accolgo gli ospiti nell'ampio giardino di una villetta in collina che dovrebbe essere casa mia. È una di quelle dimore d'epoca consumate dal tempo, con l'intonaco dei muri esterni scrostato in molte parti. Anche il tavolino e le sedie su cui ci accomodiamo sono arrugginiti dalle intemperie.
C'è mamma, accompagnata da un paio di signore che potrebbero essere le mie zie, e c'è Lucia in compagnia di un giovane uomo. Si riferisce a lui chiamandolo "mio marito" e ammetto che mi fa strano udire questo termine uscire dalle sue labbra.
Mamma ha nel frattempo qualcosa da ridire sul fatto che la Crocetta venga considerata il quartiere più signorile di Torino: la zona precollinare intorno alla Gran Madre è molto più bella, a suo parere. Non la interrompo, ma il suo intervento mi suona inopportuno. Avrei preferito evitasse qualunque riferimento ai luoghi nei quali Lucia soggiornò per qualche anno.
Lucia tiene intanto lo sguardo rivolto verso terra e non sembra a proprio agio. Mi domando giusto la ragione per cui sia tornata a trovarmi dopo così tanto tempo.
Noto che agli angoli della bocca le si sono formate alcune brutte rughe. È invecchiata, penso con una certa malinconia, adesso non mi verrebbe mai in mente di baciarla. Il pensiero mi dà istintivamente sollievo: sento che non avrei più voglia di farmi coinvolgere in una storia con lei.
Lucia si rivolge a me confidando alcuni fatti personali che conosco già ma fingo di ignorare. Non vuole o non osa invece informarsi sulla mia vita attuale. Dal canto mio le dico soltanto che scrivo ancora sul blog e lei fa un'espressione come se lo sapesse.
Siamo rimasti soli. Suo marito è seduto in disparte, assorto, il capo reclinato. Lei allunga le gambe e si accomoda la gonna. Noto che indossa calze di nylon scure che, quando ci frequentavamo, detestava.
"E tua moglie?", fa a un certo punto con tono esitante. Ho la sensazione che voglia affrontare un discorso più intimo senza mostrare tuttavia troppa convinzione.
"Avevo visto le tue e-mail", continua senza attendere risposta, "però non le ho lette. Credo che tu possa capire..." e qui sfodera un mezzo sorriso.
"Quali e-mail?", replico sorpreso e un po' piccato: "non ti ho scritto più nulla da allora. Non avevo proprio niente da dirti".
Ci scambiamo ancora qualche frase senza importanza mentre, intanto, ci avviamo verso il cancello principale insieme alla piccola comitiva. Mi accorgo di avere nei piedi un paio di orribili ciabatte, del tutto inadatte per un commiato che stavolta - ne sono certo - sarà definitivo. Corro a cercare delle calzature migliori, non le trovo e torno indietro incespicando ripetutamente.
Sotto di noi si apre Torino in un'ampia veduta serena. Da lontano si odono i tipici rumori della città attutiti dalla vegetazione.
Ultimi commenti