Ieri parlavi di peccato e, a un certo punto, mi hai domandato cosa significhi per me questa parola. Ci ho riflettuto e provo a risponderti in poche parole.
Come sai, mi è stata impartita un'educazione cattolica poco dogmatica e gli studi che ho compiuto hanno influenzato in modo decisivo il mio pensiero. Ho sviluppato quindi un'idea personale sul concetto di peccato. In sintesi: il nostro Io presenta parti “buone” - costruttive, vitali, comprensive, ragionevoli - e parti “cattive” - distruttive, irrazionali, connesse alla morte. Il peccato è tutto ciò che riguarda queste parti negative.
Non mi riferisco al peccato come colpa originale, ancestrale e per questo generica che il cattolicesimo ci ha trasmesso. Adamo ed Eva, la mela, il serpente, rappresentano soltanto dei simboli. Il peccato è semplicemente tutto ciò che va contro la vita, la consapevolezza, contro il senso etico che fa parte della natura umana. Bisogna fare i conti con le forze distruttive della mente, quelle che si oppongono alla vita, alla crescita, alla conoscenza. I conflitti personali come le guerre rappresentano proprio la pulsione di morte, così radicata nella psiche umana.
Il peccato non è la rottura delle norme sociali, dell’ordine morale o delle regole religiose che ci vengono imposti arbitrariamente: regole, ordine e norme hanno a che fare con il nostro modo di stare al mondo e devono quindi sorgere da noi stessi. Dobbiamo allora imparare ad ascoltarci, a capire cosa realmente sentiamo, proviamo; e a chiederci se i pensieri e le azioni ci conducono verso la vita o la morte. Solo se il nostro mondo interiore acquisisce una struttura etica siamo in grado di comportarci eticamente,
Questa è, in sintesi, la mia idea del peccato: un'idea che va oltre le credenze religiose e che riguarda tutti gli esseri umani.