Chiamala come vuoi: insofferenza, risentimento, sfiducia, disillusione, delusione. La ragione per cui non ti considero più io la chiamo semplicemente stanchezza. Nessuna rabbia né rancore, è un movimento dell'animo più profondo. Uno slittamento, un mancamento.
Se vuoi rimanere ti dico rimani, sai che la tua presenza mi è necessaria.
Ma se intendi proseguire per la tua strada allora vai, sentiti libera di agire per il meglio e non ti curare di me.
Mi guardi con la solita faccia perplessa, quella di chi non comprende la lingua che sto parlando. E mi domandi a cosa è dovuto questo atteggiamento che, genericamente, definisci rinunciatario.
Eppure il concetto non mi sembra difficile, te l'ho spiegato milioni di volte: accade quando corri sempre tu per primo verso gli altri. Corri e accorri, concedi molte delle tue risorse per poi scoprire che le hai consumate per niente. Ti ritrovi di fronte individui dai contorni indefinibili, stolidi zombie che non ti apprezzano come persona e scelgono modi elusivi per dimostrartelo.
Adesso basta correre, non ne ho più voglia. Mi ritiro in buon ordine e depongo le armi. Dopo tanto parlare chiudo la bocca e taccio. Resto però qui, ben piantato dentro le mie scarpe. Stanco, ma senza arretrare di un solo passo, mantenendo salda la volontà di difendere i miei princìpi e i miei valori.
“La stanchezza persistente porta al culto del silenzio, perché quando si è esausti le parole perdono di significato e martellano nelle orecchie, ridotte a sonorità vuote, a vibrazioni esasperanti. I concetti si stemperano, la forza dell’espressione si attenua…Sembra allora inutile esprimere un parere, prendere posizione o impressionare qualcuno; e quando occorrerebbe dare risposte definitive, si finisce col trovare nel silenzio la sola realtà e l’unica forma d’espressione.“
(Emil Cioran)
(photo by Pim)