Sono in treno, intrappolato da giorni. Sto sempre andando, senza mai arrivare. Mi aspetta una stanza prenotata ma non so più dove. Non ricordo a quale stazione scendere. In una città da cui forse sono scappato. La mia città natale o quella in cui vivo? La mia patria? La mia vita?
Saluto di sfuggita persone che non conosco da sempre. Mostrano un aspetto indefinito, hanno un velo al posto della faccia e una valigia in mano. Vuota, ne sono sicuro, ma mi manca il tempo per accertarlo. Non mi posso fermare e non riesco neppure a sentire distintamente che cosa hanno di urgente o di importante da dirmi.
È un viaggio in cui tutto va a rovescio. Mi accorgo di avere un abito scuro indossato al contrario, la cravatta annodata sulla schiena e la visiera del berretto sulla nuca come un ciclista belga. Devo anche camminare all'indietro per muovermi agevolmente e fare meno fatica. Mi viene naturale e non mi chiedo perché.
Forse dovrei posare il sacco pieno di gatti che tengo sulla spalla, ma poi come farei senza di loro?
Ho la sensazione che la corsa stia volgendo al termine perché ho raggiunto l'ultimo vagone. Alzo lo sguardo dal pavimento scuro e, dietro il finestrino sporco semiaperto, scorgo una gigantesca bocca da cartone animato che ride.
L'immagine è durata un istante ma ha dato senso al viaggio. Colgo compiutamente quel senso nell'attimo preciso in cui mi sveglio. Ma svanisce subito, inghiottito dalla luce del mattino, insieme al treno e a tutto il resto.
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