Molti di noi hanno avuto tra le mani un progetto grande, talmente grande da coincidere con la vita intera. Dopo averlo pianificato si sono messi all’opera e adoperati affinché prendesse forma e, un po’ alla volta, si realizzasse. Quanti hanno fatto tale esperienza. Tanti sicuramente.
Coloro che hanno sfidato la sorte, e la sorte ha in qualche misura premiato, possono ora ritenersi sufficientemente soddisfatti, appagati, compiaciuti. Guardano il mondo sotto una luce diversa, più chiara, più limpida. Davanti ai loro occhi appaiono altre prospettive e nuove sfide da lanciare, al di là delle difficoltà e dei contrattempi, previsti e imprevisti. Il processo dell’esistenza avanza giorno per giorno, contribuendo a creare un’identità più definita.
Non tutti sono riusciti a realizzare le proprie intenzioni, naturalmente. Per coloro che ce l’hanno fatta ve ne sono infiniti altri la cui azione ha progressivamente perso propulsione e direzione. Non che fossero sprovvisti di capacità e determinazione: nel loro meccanismo dinamico qualcosa si è semplicemente rotto. E adesso, seduti sulle scorte residue di energia, osservano esausti i resti inconclusi del loro operato. Sono troppo orgogliosi per considerarsi battuti, tanto da non poter lasciarsi andare alla disperazione. Si dimostrano invece lucidi come la lama di un bisturi nell’analizzare le cause del fallimento, scomponendole e ricomponendole, impietosi con sé stessi e gli errori commessi.
Quanti di noi si sono ritrovati a fare i conti con il peso dell’insuccesso e a dover dare ad esso un senso. Quanti hanno dovuto elaborare, più o meno consapevolmente, una narrativa della sconfitta che proteggesse l’Io. Bisogna pur continuare a conferire un senso alla vita, senza dover costruire per forza un monumento funebre all’occasione perduta.
Esiste un modo per uscire psicologicamente integri, se non indenni, da quest’impasse esistenziale? Siamo sinceri: a volte no. La storia del Viaggio di G. Mastorna, progetto che Federico Fellini non portò mai a compimento, può tuttavia mostrarci il problema sotto una prospettiva più ampia.
Fellini inviò una prima sceneggiatura del Mastorna a Dino De Laurentiis durante l’estate del 1965. L’ispirazione risaliva addirittura alla fine degli anni ‘30, quando il regista era poco più che un ragazzo. Nei due anni successivi di preparazione Fellini non riuscì a dare un senso compiuto alla storia che stava scrivendo: in seguito confessò di essere stato avvolto da una sorta di nebbia creativa, da un progressivo e inarrestabile senso di inadeguatezza. Riferì di aver fatto di sogni negativi riguardo la realizzazione del film. Qualcuno sussurrò che il mago Rol, di cui era assiduo frequentatore, gli avesse fatto trovare un biglietto che lo sconsigliava di iniziare le riprese. Agli occhi del regista il progetto stava assumendo le inquietanti sembianze di un’opera maledetta, con tutte le ovvie implicazioni.
Fatto sta che, a un certo momento, Fellini cercò di spiegare a De Laurentiis le ragioni per le quali non se la sentiva di mettere concretamente mano al lavoro. Il produttore non capì e andò su tutte le furie, minacciando di adire le vie legali. Ne nacque una lunga e confusa controversia, difficile anche da ricostruire, in cui le parti risolsero di trovare ugualmente un accordo per la realizzazione del film. De Laurentiis sognava un grande attore americano come interprete e, tra gli altri, contattò Paul Newman. Fellini si rivolse inizialmente a Ugo Tognazzi ma, poco dopo, si ammalò e la data dell’inizio delle riprese venne quindi cancellata.
Dopo altro tempo e altre vicende intricate, l’intero progetto passò nelle mani di un nuovo produttore, Alberto Grimaldi: nemmeno lui, però, fece il miracolo di avviarlo. Alla fine della fiera, Fellini dovette gettare la maschera e annunciare che quel film non intendeva proprio cominciarlo: del Viaggio di G. Mastorna se ne sarebbe magari riparlato in seguito, ora aveva altri film in programma (Toby Dammit e Boccaccio ‘70).
Soltanto nel 1976, terminato Il Casanova, Fellini parve intenzionato a rimettere mano al copione e chiamò Tonino Guerra a lavorarci su. Gli ennesimi contrattempi in corso d’opera vennero però interpretati come moniti a non proseguire. Tullio Kezich, nel suo Federico – Fellini, la vita e i film, racconta che un giorno il regista ricevette una telefonata recante una brutta notizia. Al termine prese in mano il copione che stava revisionando e lo gettò in un armadio, dove lo chiuse a doppia mandata. Da quel momento in avanti, si smise definitivamente di parlare del Mastorna. Forse non ci si riconosceva più – o forse ci si riconosceva troppo, chissà. La verità non la sapremo mai.
Quel progetto continuò comunque a gravare dentro il suo animo come l’ombra di un rimorso, il fantasma di un obiettivo mancato. Il pensiero del fallimento non venne reso più lieve dal successo ottenuto dalle altre opere che realizzò.
In un’intervista concessa poco tempo prima della malattia che lo condusse alla morte, Fellini trasse una conclusione che, ai fini del discorso iniziale, mi pare interessante. “Come il relitto di una nave affondata”, disse, “Mastorna è andato a nutrire tutti i miei film successivi”.
Chissà: forse avrebbe potuto essere il capolavoro assoluto della sua filmografia, connotare il giudizio definitivo che la critica avrebbe dato a tutta la carriera. Oppure sarebbe stato un passo falso, un fiasco colossale, magari esiziale. Non lo sapremo mai.
Il punto è però un altro. Una larga parte del suo contenuto andò a fertilizzare i film che, nel frattempo, il Maestro stava continuando a girare. Il patrimonio di idee, spunti, di variazioni e di atmosfere, situazioni, personaggi e sequenze rappresentò un serbatoio al quale egli attinse continuamente, a piene mani.
Traggo qui anch’io una conclusione. I grandi e ambiziosi progetti che rimandiamo fino a farli talvolta fallire (a volte colpevolmente, a volte per ragioni più sfuggenti) possono rivelarsi capaci di suggerire e ispirare idee del tutto inedite. Le piccole opere che ne derivano, risultato di un lavoro di parcellizzazione, possono costituire una variazione creativa sul tema: una variazione utile per rielaborarlo dandogli una forma più contenuta ma più adeguata a noi. Oppure possono rappresentare una divagazione in itinere, necessaria per tirare il fiato senza smettere comunque di impegnarsi. Altre volte ancora il materiale di partenza può frammentarsi in schegge che vanno a comporre delle semplici prove generali. Oppure in ciò che, usando un termine cinematografico dell’epoca, Fellini avrebbe definito un prossimamente: un trailer, diremmo oggi.
Il progetto iniziale contribuisce, in tutti i casi, a costruire qualcosa di differente rispetto all’ideazione primigenia. Così accadde al monastero di Cluny, le cui pietre vennero utilizzate come materiale di costruzione del villaggio che sorse intorno alle sue rovine.
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