Scrissi questo pastiche un pomeriggio di luglio del 1984, pochi giorni dopo aver terminato l'esame di maturità. Mi piace riproporlo ora, a distanza di quarant'anni, limitandomi ad apportare qualche modifica al testo originale ed eliminando alcuni anacronismi. Sin dalle prime righe la prosa si mostra acerba, adolescenziale, e i richiami al primo Woody Allen appaiono abbastanza evidenti. Ricordo bene però la volontà che avevo, già a quel tempo, di definire uno stile personale che fosse espressione della mia identità interiore.
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Il dottor Jekyll si accorse ad un certo punto di non sapere più se fosse veramente Jekyll, se si fosse trasformato nuovamente in Hyde, oppure ancora in Frankenstein come gli era successo l’ultima volta. << Che cazzo di storia stai tirando su, dove vuoi arrivare? >>, mi disse con l'aria di chi vuol menare le mani. Aveva appena saputo che Dracula non organizzava più quel sex party che si sarebbe dovuto svolgere la notte successiva in Transilvania. << Non ti preoccupare, so il fatto mio >>, gli risposi, ma nemmeno io avevo idea su come proseguire questo racconto.
Dracula gli aveva dato buca in quanto stava preparando la versione di latino che gli studenti del Classico avrebbero dovuto tradurre all’esame di maturità e non voleva essere disturbato. Il Ministro dell’Istruzione Bloody Mary gli aveva dato un ultimatum ben preciso e lui ci teneva molto al suo posto di odontotecnico.
Jekyll, nel frattempo, si stava sentendo sempre peggio e adesso si era convinto di essere diventato Winston Churchill – o almeno Clement-Attlee. Agitava un rotolo di carta igienica chiamandola Carta Atlantica e sbaciucchiava la catena del wc convinto che fosse Roosevelt.
Qui capii di essere arrivato di nuovo a un punto morto e, non sapendo come andare avanti, decisi di cambiare storia.
Immaginai un novello Robinson Crusoe fare l’ennesimo naufragio su un’isola deserta e poi imprecare: << La prossima volta prenderò l’aereo anche se mi dovesse costare un capitale! >>. Accortosi che l’isola non era deserta ma abitata da sole donne, iniziò un rapido tour libertino sinché non si ritrovò faccia a faccia con Boy George e Michael Jackson. Peccato però che non riuscii a trovare un finale consono alla dignità formale del pezzo.
Intanto mi aveva telefonato per l’ennesima volta Jekyll (o Hyde o Frankenstein o mia sorella) pregando di trovargli un’identità definitiva. Gli proposi allora la mia, ma poi preferì quella di Nerone perché aveva da accendere.
Il fatto però che Churchill rimanesse privo (per misteriose ragioni) della propria identità mi spinse a dargli quella di Robinson Crusoe: senonché, quando Churchill-Crusoe confuse Hitler con Venerdì offrendogli un piatto di cipolle in cambio della fine della guerra, mi resi conto che la vicenda poteva finire malissimo e mi convinsi a inventare qualcosa di diverso.
Rimestai nell’enorme calderone della Storia, ingrediente principale del mio esame orale di maturità, e introdussi in ordine sparso Cesare, Napoleone e Alessandro Magno (nonno quest’ultimo di Carlo Magno e dell’altro Carlo detto “Martello” per il fatto di avere impedito la normale crescita di Pipino detto “il Breve”).
Scoprii ben presto che Cesare era ancora nei pressi del Rubicone a cercare i famosi dadi della minestra che gli erano scivolati in acqua. Di lì a poco tutto l’Adriatico sarebbe diventato un’ottima zuppa di pesce che, però, nessuno sarebbe mai riuscito a finire. Dal canto suo, Napoleone aveva tanto intrigato con Sant’Elena sino a metterla incinta. Non rimaneva che Alessandro ma pure lui era impegnato, in quanto si trovava a Fiuggi per ritemprarsi dopo aver conquistato l’Asia senza mai prendere le ferie e facendo gli straordinari.
Pensai allora di contattare Mussolini ma, a parte il fatto che non andavamo d’accordo su molte cose (praticamente su tutte), la sua pelata brillava così tanto che, talvolta, veniva usato come pila da Stalin quando al Cremlino mancava la luce. Questo fatto aveva sconvolto il povero Diogene il quale, con il suo lanternino, continuava a cercare l’uomo (e infatti si dice che si suicidò dopo aver conosciuto Boy George).
Mentre Cesare convergeva su Roma per la finale di Coppa dei Campioni, Cavour scongiurava intanto Garibaldi di sostituire tutte quelle camicie rosse con un più sobrio maglioncino di cachemire. Dal canto suo Mazzini, approfittando della confusione, si appartò con Anita nelle valli di Comacchio. Accortosi della tresca, Garibaldi soffiò l’amante a Vittorio Emanuele II con l’intento di provocarne la reazione. Ma il re, che soffriva anche lui di crisi di identità (non sapeva se farsi chiamare Vittorio o Emanuele o semplicemente Secondo), se la faceva segretamente con Cavour, ribattezzato dagli Inglesi Cow Our – da non confondersi con Cosa Nostra. La faccenda si complicò ulteriormente quando si venne a sapere che Mazzini era in realtà Cavour sotto mentite spoglie, mentre Cavour era Anita Garibaldi e Vittorio Emanuele II le valli di Comacchio.
Tutta la colpa andava comunque attribuita a Platone, il quale si dice che si fosse ispirato a Leonardo da Vinci per quel che riguardava il mondo delle idee, sebbene dopo i pasti fumasse tonnellate di marijuana. Il suo iniziatore fu quasi certamente Socrate, il quale rimase stecchito dopo un’overdose. E sono tutte balle quelle che si raccontano sul fatto che sia morto per la libertà, dato che questa può far venire al massimo un po’ di emicrania.
Che fatica ordinare la Storia, chissà come avrà fatto Dio… ma forse Lui ha solo la fortuna di essere più vecchio di me e, approfittando di questo vantaggio, ha avuto il tempo di creare tutto (compreso il tempo) mentre io ero in difficoltà pure con il Lego.
È giunto il momento di smettere. Ripongo la penna e il foglio di carta consunta sul quale ho scarabocchiato questo racconto. Stanno ritornando gli infermieri con la camicia di forza per riportarmi nella stanza dove vivo dal giorno in cui ho scommesso che sarei riuscito a prendere al volto lo Shuttle mentre atterrava. Chissà se i miei amici si ricordano che mi devono ancora dei soldi…
(26 luglio 1984)
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