
Sdraiato nel letto, attendendo il sonno, ripenso ad una frase che oggi ho trovato nel web. "Alcuni di noi sopravvivono alla propria morte. Il corpo continua a camminare ma l'anima è scesa e si è diretta altrove."
Tra i miei pensieri si dischiude qualcosa - un varco, una fessura, una crepa.
Ora che è passato tanto tempo comincio ad avere una percezione meno sfocata di ciò che mi è davvero successo. Sui miei blocchi mentali metto ciottoli di spiegazione, intorno ai quali costruire un senso possibile.
A partire da un certo momento della mia vita, un momento cardine, una parte di me si è strappata dalle proprie radici e si è scissa. Potrei definirlo come un atto esistenziale necessario, il cui groviglio di ragioni mi appare a tutt'oggi indipanabile. Dovevo intraprendere un cammino "altro", che mi distogliesse e al contempo mi proteggesse.
Cominciai allora a muovermi lungo un percorso del tutto inedito e imprevisto. Potrei definirlo come un pellegrinaggio senza direzione né bussola, senza bagaglio né riparo, cosparso di inciampi inopinati e pause interminabili. Un pellegrinaggio apparso incomprensibile ai più e che mi ha attirato rimproveri interminabili da parte di chi non ha neppure provato a comprendere. Sono stato perciò bandito, bandito dal mondo, gettato via come se avessi commesso un crimine nefando. E intanto la parte restante di me, quella consapevole, restava inerme, sprovvista degli strumenti necessari per guarire.
Soltanto adesso, mentre questo rapimento involontario volge verso la conclusione, sto ritrovando le coordinate di un cammino senza geografia che non ha mai conosciuto conforto. Il destino che mi attende è estraneo e oscuro ma nulla di diverso posso volere: non lo scanso e non mi sottraggo perché solo io posso realizzarlo compiutamente.
(Certe notti incontro ricordi, consumo malinconie, mi struggo ad occhi chiusi. In questo esilio sconfinato in cui mi sono abbandonato ora cerco riposo.)
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