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Un virus è solo un pacchetto di materiale genetico che, da alcuni studiosi, non è neppure considerato una forma di vita vera e propria. È un parassita che ha un unico scopo: riprodursi. Penetra nelle cellule di tutti gli organismi che incontra sul proprio cammino e li infetta, con la precisione di un orologio svizzero. Da quando un bel giorno si è messo in viaggio, il Sars-CoV-2 ha percorso in lungo e in largo l'intero pianeta terra seguendo traiettorie misteriose, contagiando ogni essere umano con cui veniva a contatto senza tenere conto di razza, sesso, religione, estrazione sociale. In questo modo ha sorpreso e colpito mezza umanità, che è stata colta naturalmente impreparata. Un virus stupido che si autoassembla creando in serie cloni di se stesso, come fossero pezzi di ricambio di un frullino, si è fatto beffe di clinici e microbiologi, di politici ed economisti, di sportivi e leader religiosi, di opinionisti e influencer. Si è preso gioco in particolar modo di quegli sbruffoni che sottovalutavano o negavano del tutto la gravità della sopraggiunta pandemia.
Questo stolido microrganismo continua a circolare imperterrito nelle diverse parti del mondo lasciando dietro sé una scia di morte. Lo puoi trovare tra le favelas di Rio, nei vicoli oscuri di Marsiglia, nei pub londinesi… ma anche nelle fabbriche tedesche, nei locali notturni di Mosca, al Gran Bazar di Istanbul. Si è diffuso nei luoghi in cui si detiene il potere politico ed economico, nei parlamenti nazionali e, da ultimo, persino alla Casa Bianca. È tornato in Cina, dove un anno fa aveva iniziato il viaggio, ha invertito la rotta alla volta degli slums di Calcutta e dei grattacieli di Singapore, si sta propagando in incognito sulle rotte dell'Africa.
Il Sars-CoV-2 è ottuso come tutti i virus, ma sa qualcosa che noi umani ignoriamo o fingiamo di non conoscere: i microrganismi sono i padroni veri e incontrastati del pianeta, di cui rappresentano il passato e il futuro. Sono esseri ai margini della vita da milioni di anni il cui fine è riprodursi - e ci riescono perfettamente. Il genere umano costituisce soltanto il veicolo utile e idiota necessario per perpetuarsi potenzialmente all'infinito. Per questo motivo la visione antropocentrica dell'attuale pandemia è errata, oltre ad essere ridicola. Per combattere ad armi pari con un virus bisognerebbe pensare e agire come lui, ma un virus non pensa: è come un robot che la natura ha programmato per uccidere. Tamponi, guanti, mascherine, gel igienizzanti, e poi farmaci, vaccini… Sono tutti strumenti necessari ed efficaci per impedire la diffusione del contagio ma non sufficienti a disinnescare il destino per cui i virus sono stati così ben congegnati. È vero: l'uomo riprende sempre il sopravvento, lo insegna la storia della medicina. Eppure questi esserini di pochi nanometri, invisibili ai comuni microscopi ottici, non muoiono e non scompaiono mai. Si nascondono pazienti negli armadi e dentro i cassetti, nelle cantine e tra i rifiuti, nei geni dei pipistrelli o dentro le provette di qualche laboratorio. Finché un giorno, per caso o per cause inimmaginabili, decidono di uscire dai propri nascondigli dimenticati assumendo nomi nuovi, forme e sembianze differenti, per tornare a invadere quel pianeta che solo a loro appartiene.
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"Se periremo, la ferocia del nemico sarà solo la causa secondaria del disastro. La prima sarà che la forza di una gigantesca nazione era diretta da occhi troppo ciechi per vedere tutti i pericoli della battaglia; e la cecità non sarà indotta da qualche incidente naturale o dalla storia ma da odio e vanagloria.”
(Reinhold Niebuhr, The Irony Of American History, 1952)
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"La vita di Fenoglio è densa di queste anomalie. Da un lato il quotidiano lavoro di impiegato di provincia, gli amici del bar, gli svaghi di una generazione attraversata dalla guerra. Dall'altro il notturno lavoro di uno scrittore che proiettava in una dimensione epica le tragiche vite di contadini e partigiani. Fenoglio è uno dei più avvincenti enigmi della cultura italiana del dopoguerra."
(da Una questione privata. Vita di Beppe Fenoglio, di Guido Chiesa, Palomar, 1998)
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Novembre 1989. Durante il corso di Neuropsichiatria Infantile al Regina Margherita conobbi una ragazza tedesca. Mi pare si chiamasse Inge, non ricordo bene, ci perdemmo di vista subito dopo l'esame. Non so più nemmeno il motivo per cui studiasse all'Università di Torino. Fatto sta che ebbi modo di commentare con lei l'abbattimento del Muro di Berlino, avvenuto in quei giorni, e la sua reazione mi sorprese.
Le riportai i giudizi a dir poco entusiastici dei media e io stesso ero rimasto favorevolmente colpito da quell'avvenimento epocale: si chiudeva una fase storica complicata, conflittuale, se ne apriva una nuova tutta da scrivere. Ebbene, Inge mi guardò male e rispose pressappoco così: non hai idea di ciò che succederà adesso nel mio Paese. In effetti no, ammisi. La Germania Orientale è uno Stato arretrato che vive in condizioni misere, continuò, il tasso di disoccupazione è giunto a livelli altissimi e la criminalità dilaga: adesso i tedeschi dell'est migreranno ad ovest, sarà una catastrofe sociale ed economica.
Non avvertii alcuna partecipazione, alcuna solidarietà nelle sue parole: percepii invece nel tono della voce una nota di disprezzo etnico nei confronti di una popolazione pur sempre tedesca, che era stata separata da quella occidentale in maniera del tutto arbitraria. Una popolazione che parlava la stessa lingua, aveva la stessa cultura e le stesse tradizioni, la cui unica colpa era di essere stata assoggettata per trent'anni a un regime autoritario.
Non osai replicare: capii che il discorso toccava Inge sul vivo. D’altro canto, non ero in grado di argomentare e la situazione appariva molto più sfaccettata di come giornali e televisioni la mettessero giù.
In effetti, la Storia ha dimostrato che l'euforia di quei giorni risultò eccessiva e persino sconsiderata. L'Europa prodotta dal crollo del Muro non si è mostrata migliore, più giusta o più pacificata rispetto a quella precedente. Il liberalismo selvaggio e corrotto emerso successivamente nei Paesi dell'ex cortina di ferro ha dato la stura a un'ideologia nazionalista e xenofoba che, nel momento storico attuale, sta coinvolgendo l'intero continente. Il Muro di Berlino, fatto di cemento e mattoni, non esiste più ma ne sono nati infiniti altri, invisibili, non per questo meno odiosi.
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Riassumo qui qualche informazione, presa da fonti attendibili del web, che chiarisce alcuni punti della vicenda della Sea Watch 3, conclusasi (per il momento) con l’attracco della nave nel porto di Lampedusa e l’arresto del comandante Carola Rackete.
1) Perché le ONG vengono in Italia? Perché le leggi internazionali chiedono di portare i migranti nel primo porto sicuro.
2) Perché non li riportano in Libia? Perché la Libia non è un porto sicuro: c'è la guerra e ci sono i campi di concentramento.
3) Perché non li portano in Tunisia? Perché la Tunisia non ha firmato la Convenzione di Ginevra e perché in passato ha riportato i migranti in Libia.
4) Perché non li portano a Malta? Li portano eccome a Malta. Malta ha accolto in proporzione molti più immigrati di noi e continua ad accoglierli. Però Malta non è sempre il porto più vicino, dipende dove viene effettuato il salvataggio (e bisogna guardare anche le condizioni del mare). In questo caso il porto sicuro più vicino era Lampedusa. Se la capitana avesse deciso di andare in un altro porto avrebbe violato le Leggi Internazionali sulla navigazione. Se a bordo fosse morto qualcuno durante il tragitto sarebbe stata accusata di omicidio colposo. Il porto "più vicino", inoltre, è quello raggiungibile con rotta più breve (non necessariamente quella geometricamente più corta) e che rispetta i vincoli meteomarini in vigore nelle sei ore successive. Le carte nautiche non sono Google Maps…
5) Perché l'Olanda e la Germania non prendono in carico almeno un certo numero di migranti? Dieci città tedesche si sono dichiarate disponibili a farlo. Il problema è che mancano gli accordi internazionali. Il ministro Salvini, in quest'anno di governo, avrebbe dovuto fare questo tipo di accordi, ma è stato assente sei volte su sette alle riunioni...
6) E quindi dobbiamo accoglierli tutti? No, noi dobbiamo salvarli, perché i diritti umani vengono prima di ogni altra cosa. Il salvataggio si conclude quando le persone a bordo sbarcano in un porto sicuro. Il fatto dell'accoglienza poi dipende dagli accordi che i Paesi riescono a fare.
7) Ma la Sea Watch ha violato le leggi italiane? La Sea Watch 3 ha violato una normativa (il decreto Salvini) e non una legge. Un decreto è emesso dal potere esecutivo invece che dal potere legislativo per motivi di urgenza. I decreti hanno validità limitata e possono essere facilmente impugnati. Ciò che ha deciso di fare la capitana Rackete, per chi conosce il codice della navigazione (e anche l’art.10 della Costituzione Italiana), appare senza ombra di dubbio la scelta più ovvia e che comporta minori conseguenze legali e penali.
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"Immaginiamo una spiaggia assolata lunga un chilometro, in agosto, piena di bagnanti (supporremo per ora distribuiti uniformemente lungo la spiaggia). Due gelatai hanno il permesso di vendere gelati sulla spiaggia. Dove si metteranno i due gelatai? Se noi siamo un bagnante vorremmo sicuramente avere un gelataio vicino alla nostra sdraio, per fare meno strada possibile quando abbiamo voglia di un gelato. Se ci interessiamo della volontà di tutti i bagnanti, la posizione migliore dei due gelatai è sicuramente quella di avere un gelataio a 250m dall’inizio della spiaggia e uno a 750m dall’inizio della spiaggia, così che ogni bagnante debba fare al più 250m per avere il suo gelato. Il punto importante è che mediamente ogni bagnante compie solo 125m per arrivare dal gelataio più vicino.
Se noi siamo un gelataio, il nostro obbiettivo è diverso: vogliamo vendere più gelati possibile. Pertanto, la posizione ottimale per i bagnanti descritta sopra non è affatto stabile. Il primo gelataio, sicuro che i bagnanti dei primi 250m di spiaggia si serviranno comunque da lui e non dal collega più distante inizia ad avvicinarsi al collega per rubargli clienti. Anche l’altro ha la stessa idea e si muove verso l’inizio della spiaggia. La posizione stabile raggiunta in questo modo è quella di due gelatai fianco a fianco al centro della spiaggia. Più in generale, qualunque sia la distribuzione dei bagnanti sulla spiaggia, i due gelatai tenderanno a stare fianco a fianco sulla mediana, ovvero lasciandosi entrambi il 50% dei bagnanti a destra e il 50% dei bagnanti a sinistra.
La stessa schematizzazione matematica si ha per un’elezione in cui sia discusso un solo argomento, su cui si può avere una posizione che varia da estrema destra (inizio spiaggia) a estrema sinistra (fine spiaggia). Sostituiamo ai bagnanti gli elettori, ai gelatai i due candidati. Se pensiamo che ogni elettore voti il candidato che professa idee più vicine alle proprie e che ogni candidato abbia come obbiettivo quello di vincere l’elezione, assisteremo allo stesso curioso fenomeno: due candidati con posizioni molto simili.
La posizione della mediana (e anche qualsiasi altra posizione scelta dai due candidati) è tuttavia facilmente attaccabile dall’entrata in gioco di altri candidati: un terzo candidato può rubare voti a uno dei due candidati, impedendogli di vincere; un terzo e un quarto candidato - opportunamente coalizzati - possono impedire ai primi due di vincere le elezioni.
Ovviamente nel mondo reale non possiamo aspettarci che i bagnanti e gli elettori abbiano troppa pazienza e che accettino la situazione. In effetti il fenomeno dell’alienazione dell’elettore e del non voto è molto frequente."
(Alberto Saracco, Il paradosso del gelataio e altri problemi delle votazioni. Dipartimento di Matematica, Università di Parma)
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Tag: Alberto Saracco, elezioni europee 2019, Il paradosso del gelataio e altri problemi delle votazioni. Dipartimento di Matematica, partiti politici, politica, psicologia, sociologia, Università di Parma
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