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"Se periremo, la ferocia del nemico sarà solo la causa secondaria del disastro. La prima sarà che la forza di una gigantesca nazione era diretta da occhi troppo ciechi per vedere tutti i pericoli della battaglia; e la cecità non sarà indotta da qualche incidente naturale o dalla storia ma da odio e vanagloria.”
(Reinhold Niebuhr, The Irony Of American History, 1952)
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"Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana, ma non potrà mai essere del tutto italiano", afferma tal Luca Castellini, capo della tifoseria dell'Hellas Verona. "Ce l'abbiamo anche noi un negro in squadra, che ha segnato ieri… Ci sono problemi a dire la parola negro? Mi viene a prendere la Commissione Segre perché chiamo uno negro?".
Qualcuno obietterebbe: vabbè, che ti aspetti da un ultrà? Che citi Frantz Fanon?
Ebbene: non gli è da meno Alessandro Strumia, professore di fisica all'università di Pisa. Per le sue teorie su una presunta "superiorità di genere" degli uomini sulle donne nell'ambito della ricerca scientifica era stato sospeso lo scorso anno dal Cern di Ginevra. Ora ci riprova, corredando le sue idee con tanto di grafici ed equazioni sullo scarso numero delle donne ricercatrici e sulla loro carriera non encomiabile.
Dopo aver letto queste due notizie, riportate ieri da Repubblica, mi domando: siamo nel 2019 o nel 1919?
Come Pier Paolo Pasolini fa dire a Orson Welles nel film La ricotta, siamo “il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.”
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Il cambiamento è un processo faticoso, ma la resistenza al cambiamento lo è ancora di più.
(parafrasando Buddha)
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Riassumo qui qualche informazione, presa da fonti attendibili del web, che chiarisce alcuni punti della vicenda della Sea Watch 3, conclusasi (per il momento) con l’attracco della nave nel porto di Lampedusa e l’arresto del comandante Carola Rackete.
1) Perché le ONG vengono in Italia? Perché le leggi internazionali chiedono di portare i migranti nel primo porto sicuro.
2) Perché non li riportano in Libia? Perché la Libia non è un porto sicuro: c'è la guerra e ci sono i campi di concentramento.
3) Perché non li portano in Tunisia? Perché la Tunisia non ha firmato la Convenzione di Ginevra e perché in passato ha riportato i migranti in Libia.
4) Perché non li portano a Malta? Li portano eccome a Malta. Malta ha accolto in proporzione molti più immigrati di noi e continua ad accoglierli. Però Malta non è sempre il porto più vicino, dipende dove viene effettuato il salvataggio (e bisogna guardare anche le condizioni del mare). In questo caso il porto sicuro più vicino era Lampedusa. Se la capitana avesse deciso di andare in un altro porto avrebbe violato le Leggi Internazionali sulla navigazione. Se a bordo fosse morto qualcuno durante il tragitto sarebbe stata accusata di omicidio colposo. Il porto "più vicino", inoltre, è quello raggiungibile con rotta più breve (non necessariamente quella geometricamente più corta) e che rispetta i vincoli meteomarini in vigore nelle sei ore successive. Le carte nautiche non sono Google Maps…
5) Perché l'Olanda e la Germania non prendono in carico almeno un certo numero di migranti? Dieci città tedesche si sono dichiarate disponibili a farlo. Il problema è che mancano gli accordi internazionali. Il ministro Salvini, in quest'anno di governo, avrebbe dovuto fare questo tipo di accordi, ma è stato assente sei volte su sette alle riunioni...
6) E quindi dobbiamo accoglierli tutti? No, noi dobbiamo salvarli, perché i diritti umani vengono prima di ogni altra cosa. Il salvataggio si conclude quando le persone a bordo sbarcano in un porto sicuro. Il fatto dell'accoglienza poi dipende dagli accordi che i Paesi riescono a fare.
7) Ma la Sea Watch ha violato le leggi italiane? La Sea Watch 3 ha violato una normativa (il decreto Salvini) e non una legge. Un decreto è emesso dal potere esecutivo invece che dal potere legislativo per motivi di urgenza. I decreti hanno validità limitata e possono essere facilmente impugnati. Ciò che ha deciso di fare la capitana Rackete, per chi conosce il codice della navigazione (e anche l’art.10 della Costituzione Italiana), appare senza ombra di dubbio la scelta più ovvia e che comporta minori conseguenze legali e penali.
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Tag: Carola Rackete, Italia, Lampedusa, migranti, Pim, Salvini, Scrivere i risvolti, Sea Watch 3
"Immaginiamo una spiaggia assolata lunga un chilometro, in agosto, piena di bagnanti (supporremo per ora distribuiti uniformemente lungo la spiaggia). Due gelatai hanno il permesso di vendere gelati sulla spiaggia. Dove si metteranno i due gelatai? Se noi siamo un bagnante vorremmo sicuramente avere un gelataio vicino alla nostra sdraio, per fare meno strada possibile quando abbiamo voglia di un gelato. Se ci interessiamo della volontà di tutti i bagnanti, la posizione migliore dei due gelatai è sicuramente quella di avere un gelataio a 250m dall’inizio della spiaggia e uno a 750m dall’inizio della spiaggia, così che ogni bagnante debba fare al più 250m per avere il suo gelato. Il punto importante è che mediamente ogni bagnante compie solo 125m per arrivare dal gelataio più vicino.
Se noi siamo un gelataio, il nostro obbiettivo è diverso: vogliamo vendere più gelati possibile. Pertanto, la posizione ottimale per i bagnanti descritta sopra non è affatto stabile. Il primo gelataio, sicuro che i bagnanti dei primi 250m di spiaggia si serviranno comunque da lui e non dal collega più distante inizia ad avvicinarsi al collega per rubargli clienti. Anche l’altro ha la stessa idea e si muove verso l’inizio della spiaggia. La posizione stabile raggiunta in questo modo è quella di due gelatai fianco a fianco al centro della spiaggia. Più in generale, qualunque sia la distribuzione dei bagnanti sulla spiaggia, i due gelatai tenderanno a stare fianco a fianco sulla mediana, ovvero lasciandosi entrambi il 50% dei bagnanti a destra e il 50% dei bagnanti a sinistra.
La stessa schematizzazione matematica si ha per un’elezione in cui sia discusso un solo argomento, su cui si può avere una posizione che varia da estrema destra (inizio spiaggia) a estrema sinistra (fine spiaggia). Sostituiamo ai bagnanti gli elettori, ai gelatai i due candidati. Se pensiamo che ogni elettore voti il candidato che professa idee più vicine alle proprie e che ogni candidato abbia come obbiettivo quello di vincere l’elezione, assisteremo allo stesso curioso fenomeno: due candidati con posizioni molto simili.
La posizione della mediana (e anche qualsiasi altra posizione scelta dai due candidati) è tuttavia facilmente attaccabile dall’entrata in gioco di altri candidati: un terzo candidato può rubare voti a uno dei due candidati, impedendogli di vincere; un terzo e un quarto candidato - opportunamente coalizzati - possono impedire ai primi due di vincere le elezioni.
Ovviamente nel mondo reale non possiamo aspettarci che i bagnanti e gli elettori abbiano troppa pazienza e che accettino la situazione. In effetti il fenomeno dell’alienazione dell’elettore e del non voto è molto frequente."
(Alberto Saracco, Il paradosso del gelataio e altri problemi delle votazioni. Dipartimento di Matematica, Università di Parma)
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Tag: Alberto Saracco, elezioni europee 2019, Il paradosso del gelataio e altri problemi delle votazioni. Dipartimento di Matematica, partiti politici, politica, psicologia, sociologia, Università di Parma
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La storia di un film che fu censurato per decenni a causa del tema affrontato: l’occupazione italiana della Libia e i crimini di guerra perpetrati dal nostro esercito.
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Tag: censura, cinema italiano, Il leone del deserto, Il Torinese, Italia, Libia, Omar el-Mukhtār, Pim, Scrivere i risvolti, The Lion Of The Desert
È divenuta ormai esilissima la linea di discrimine tra la strategia terroristica organizzata secondo modelli riconoscibili e l’attacco individuale eseguito da soggetti psichicamente instabili, socialmente disadattati che - per riscattare la propria esistenza - agiscono per imitazione o suggestione riparandosi sotto la copertura del radicalismo islamico.
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Tag: attacco terroristico, Daesh, Gran Bretagna, Isis, Londra, radicalismo islamistico, terrorismo
Zygmunt Bauman, scomparso ieri alla veneranda età di novantun anni, è uno degli autori contemporanei il cui pensiero è stato più saccheggiato e banalizzato. La metafora da lui coniata di società liquida viene citata ovunque e da chiunque - nella maggior parte dei casi a sproposito - per avvalorare questa o quella opinione. Pochi sono però quelli che si sono premurati di leggere davvero i suoi lavori, molto densi e non immediatamente comprensibili da chi non possegga conoscenze di sociologia e filosofia.
Il destino di Bauman somiglia a quello di altri intellettuali come Noam Chomski e Marshall McLuhan, nominati sovente in maniera indebita. Per non dire di Umberto Eco, i suoi libri fanno spesso bella mostra nei salotti senza essere mai stati aperti una sola volta. McLuhan fu colui che usò la celebre espressione villaggio globale, di cui i media abusano sino a svuotarla di significato. Non molti sanno che fece una comparsata in Io & Annie dove, entrando a sorpresa in scena, replica a muso duro a uno spettatore in coda alla cassa di un cinema.
Ecco, nel 1977 Woody Allen aveva già capito tutto: << Marshall McLuhan... ma lei sa niente di Marshall McLuhan? >>.
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Tag: cinema, filosofia, Marshall McLuhan, Noam Chomski, sociologia, Umberto Eco, Woody Allen, Zygmunt Bauman
Il suo nome mi suonava familiare sin dai banchi del liceo, insieme a quelli di Bloch e Auerbach. Ed è stato piacevole ritrovarlo nei miei studi più recenti, come un vecchio compagno il cui ricordo rimaneva sospeso nella memoria in attesa di tempi nuovi. Mi appassionava il suo metodo di ricostruire la storia attraverso un'impostazione interdisciplinare che comprendeva sociologia, psicologia (soprattutto), economia, arte, scienza, religione. Secondo questa visione, per una reale comprensione degli avvenimenti la ricerca doveva indagare i modi di pensare e agire collettivi, come viene a formarsi una “mentalità” e come essa influenzi scelte, comportamenti, atteggiamenti. La storia della mentalità, in quanto campo di studi autonomo, si coagulò intorno alla rivista Annales d’histoire économique et sociale di cui Le Goff fu direttore. Molti autori (soprattutto di orientamento marxista) rilevarono i limiti di tale visione, sostanzialmente interclassista, che tendeva a ridurre i fatti sociali a fatti psicologici. Le Goff precisò che era invece possibile individuare le classi e le mentalità di classe attraverso lo studio della sensibilità collettiva. Il suo L’Europa raccontata ai ragazzi - un piccolo saggio che spiega il senso di un’Europa unita e la fortuna che abbiamo di viverci - dovrebbe costituire una lettura obbligatoria, soprattutto di questi tempi. E non soltanto per i ragazzi.
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Tag: Annales, Francia, Jacques Le Goff, L'Europa raccontata ai ragazzi, Laterza, storia della mentalità
La grande bellezza è un film affascinante ma imperfetto, squilibrato in molte parti, rimpinzato di dialoghi artefatti. Come spiegarne allora il consenso planetario ottenuto, suffragato peraltro dalla vittoria dell’Oscar? Sarebbe troppo semplicistico dire perché mette in scena la concezione (stereotipata, vagamente Kitsch) che il mondo ha dell’Italia contemporanea, sì bella e perduta: un Paese abbarbicato ai fasti del passato storico che si protende su un presente vuoto e privo di valore/i. C’è molto, molto di più.
Sorrentino ha saputo cogliere con rara potenza espressiva lo spirito del tempo che aleggia sull’intera civiltà occidentale postmoderna, arenatasi in una grave crisi di identità sociale, culturale, politica. Lo ha fatto raccontando la disperata inutilità della Roma attuale ma arricchendo il testo filmico di uno sguardo alto, visionario, che lo rende drammaticamente universale. Se esiste una via di salvezza, essa consiste in un percorso di ritorno alle nostre radici per ricostruirne il senso, in modo da produrre un cambiamento e una realtà nuova nella quale riconoscerci.
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Tag: Academy Awards, Europa, Italia, La grande bellezza, Oscar, Paolo Sorrentino, Roma, USA
Paul
Thomas Anderson è un fuoriclasse. I suoi film pesano, sovraccarichi di toni e
umori, ma sono espressione di vero cinema. Ieri sera ho visto con
ammirazione Il Petroliere (anodino titolo italiano di There Will Be Blood), epopea di un minatore arricchitosi con l’oro nero
tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’30 del Novecento. Tema di fondo:
l’individualismo possessivo tipicamente americano, motore di un capitalismo
avventuroso e spregiudicato. La ricerca spasmodica del profitto si fonda sulla
manipolazione, sulla sopraffazione quasi animalesca. Al termine della scalata
non ci può essere che il baratro dell’annichilimento.
Il Petroliere (There Will Be Blood), di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin J. O'Connor, Ciarán Hinds (Usa, 2007, 158’). Mercoledì 7 agosto 2013, ore 21, Iris.
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Tag: Daniel Day-Lewis, Il Petroliere, Iris, Paul Thomas Anderson, The Will Be Blood
(Pubblicato su Trovacinema il 22 maggio 2002)
È facile teorizzare che la società contemporanea, per superare il nero delle
proprie angosce, stia ripiegando sul pensiero magico. Il successo di Harry
Potter e del Signore degli Anelli (prima), di Spider Man e Star Wars II (ora), rappresenta il bisogno collettivo di evadere da una realtà che appare insopportabile. Se si vuole sfuggire all’insostenibile pesantezza dell’essere, forse è meglio sperare in una irruzione salvifica del fantastico nel nostro
quotidiano.
Ma è proprio così? Abbiamo davvero bisogno di tutte queste favole? Abbiamo effettivamente bisogno di eroi prodigiosi che ci rassicurano che il bene, nell’eterno conflitto col male, vince sempre e comunque? Abbiamo realmente bisogno di sconfinare nell’incredibile con le Guerre Stellari o di sublimare la banalità in compagnia del Grande Fratello?
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Tag: favole, Grande Fratello, Harry Potter, Il Signore degli Anelli, pensiero magico, Spider Man, Stars Wars
(Pubblicato su Kataweb Forum Cinema il 4 marzo 2003)
Spike Lee è un regista che difficilmente delude. Peccato che le sue ultime opere appaiano e scompaiano sui nostri schermi come fantasmi. Qualcuno ha ancora paura del suo radicalismo o che altro? Un paio d’anni fa, ad esempio, è uscito l’eccellente Bamboozled ma pare che nessuno l’abbia visto. Io stesso ho avuto modo di apprezzarlo solo ora, grazie ad un’interessante rassegna sul cinema indipendente americano proposta dall’Aiace di Torino.
Bamboozled (qualcosa come “fregàti”) racconta l’ascesa del capo nero di una televisione in crisi il quale, per salvare l'emittente, scrittura un ballerino di tip tap e decide di rilanciare il minstrel show: quel tipo di varietà, molto popolare nei primi decenni del ‘900, in cui attori bianchi si tingevano di scuro la pelle a scopo parodistico. Scriverà uno spettacolo, nel quale sono i neri stavolta a scurirsi, che otterrà un gran successo ma avrà ripercussioni sulla vita di tutti i protagonisti.
Il film descrive con ironia come l'industria dello show business abbia usato e consumato lo stereotipo a sfondo razzista del bovero negro, dello zio Tom e di Mami di Via col vento. L'idea di partenza è geniale e il piglio grottesco condito con un sentimento d’amarezza ben percepibile: la gente di colore non si dimostra più capace di reagire in maniera unanime alla supremazia culturale dei bianchi. Non è solo orientata da un’ideologia confusa e piena di contraddizioni, la sua stessa cultura si è appiattita su modelli che, in definitiva, non le appartengono.
Cosa dire ancora. A mio avviso ci sono soltanto due modi per fare un film: farlo bene o farlo male. Tutto il resto è anonimo. E Spike Lee rimane sempre una spanna sopra la media.
Bamboozled, di Spike Lee, con Damon Wayans, Tommy Davidson, Savion Glover, Jada Pinkett Smith (Usa, 2000, 135’). Sabato 16 giugno 2012, ore 23,00, Comingsoon Tv.
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Tag: Aiace, Bamboozled, Comingsoon Tv, Spike Lee, Torino
"Per i pellegrini nel tempo, la verità è altrove; il vero luogo è sempre a una certa distanza, lontano nel tempo. Dovunque il pellegrino sia ora, non è il luogo dove dovrebbe essere o sogna di essere. […] Quale scopo ha la città per il pellegrino? Per il pellegrino, solo le strade hanno un senso, non le case. In una terra tale, chiamata società moderna, il pellegrinaggio non è più una scelta del modo di vivere, […] è ciò che uno fa per necessità, per evitare di perdersi nel deserto; per dare al cammino un significato mentre vagabonda senza meta. […] Sia il significato che l’identità possono esistere solo in quanto progetti, ed è la distanza che permette ai progetti di esistere".
(Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza. Fotografia scattata nel deserto siriano il 9 agosto 2008)
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Tag: deserto, La società dell’incertezza, pellegrinaggio, Siria, Zygmunt Bauman
Cultura è tutto ciò che non è natura, affermava Claude Lévi Strauss. Lidia De Federicis, la mia insegnante di lettere al liceo, proponeva un esempio chiarissimo: defecare appartiene alla sfera fisiologica, quindi della natura, i servizi igienici sono invece un prodotto culturale. E faceva riferimenti: il chiassetto della novella di Boccaccio, Luigi XIV che riceveva i suoi interlocutori seduto sulla tazza, la progressiva acquisizione di riservare ai bisogni corporali un ambiente apposito, la creazione di reti fognarie a Parigi e Londra, i bagni sui ballatoi ai primi del ‘900 e infine entro le mura domestiche come siamo abituati oggi.
C’è però un’altra definizione di cultura che a me piace tantissimo, quella data da Burrhus F. Skinner, psicologo comportamentista: cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto.
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Tag: Burrhus F. Skinner, Claude Lévi Strauss. Lidia De Federicis, cultura, Giovanni Boccaccio, liceo, Londra, Luigi XIV, Parigi, wc
L’11 settembre 2001 non è stata (rap)presentata la realtà dei fatti ma il modo di (rap)presentarla – che è cosa diversa. In tal senso non è il cinema ad aver anticipato gli eventi, ma è la storia per immagini a essersi adeguata a una certa norma spettacolare di rendere la realtà. Insomma, è come se il regista della CNN e persino gli occasionali videoamatori che hanno documentato la catastrofe si fossero ispirati a King Kong e a Independence Day. Senza che ce ne rendessimo conto, la realtà veniva (rap)presentata proprio come l’aspettavamo. Quelle sequenze le avevamo già viste, facevano già parte del nostro immaginario.
L’attentato e il successivo crollo delle Twin Towers sono stati uno spettacolo di una potenza terribilmente grandiosa. Aerei che si schiantano contro grattacieli tra i più alti mai costruiti dall'uomo... Coloro che hanno ripreso quelle sequenze ne hanno subito il fascino perverso proprio come chi le guardava in televisione. Quanti di noi, quell’11 settembre 2001, sono rimasti ipnotizzati davanti allo schermo per tutto il pomeriggio: sconvolti dall’orrore eppure in qualche misura catturati, come san Giorgio davanti al drago. Per descrivere la fascinazione che un accadimento rovinoso suscita nell’animo umano, viene da scomodare Lucrezio: “È bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra un naufragio lontano…”.
L'effetto cinematografico non è stato casuale, è stato deliberato. I terroristi hanno scelto le Twin Towers perché rappresentavano un simbolo, ma sicuramente avevano previsto l’impatto spettacolare, oltre che emotivo, degli attentati. Hanno persino calcolato l’ora in cui questi si sarebbero svolti, le nove del mattino di New York, in modo che potessero avere la massima risonanza possibile. L'ora in cui il popolo americano si sveglia, accende la tv, prepara il pancake, dà un'occhiata alla CNN... Tutti quelli che hanno filmato o visto l’evento si sono comportati esattamente come quegli automobilisti che rallentano per guardare un incidente (i quali, a loro volta, sono spesso causa di ulteriori tamponamenti a catena). Effetto raccordo anulare, secondo Umberto Broccoli. Sfido chiunque a dire che il regista della CNN in quel momento non era sedotto dalla forza malvagia della visione come lo eravamo, noi spettatori inermi, ghermiti da quello spettacolo spaventosamente immane, da quella vita che in diretta si tramutava in morte.
Noi abbiamo visto ciò che qualcuno aveva deciso di farci vedere (non vado a scomodare Baudrillard). Ma una realtà in cortocircuito continuo con la rappresentazione di se stessa significa che non esiste più? In un mondo in cui l'esperienza sensibile dei fatti passa in secondo piano perché la maggior parte delle informazioni che riceviamo durante la giornata è mediata, cosa è reale? Chi si rifà a chi? Cosa si rifà a cosa?
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Wilfred Ruprecht Bion cominciò a lavorare come psichiatra militare tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, allestendo e coordinando gruppi terapeutici di cui facevano parte reduci inglesi sofferenti di nevrosi post-traumatiche. Essendo membro della commissione di selezione degli ufficiali, escogitò un sistema originale: il gruppo senza leader. Prendeva un certo numero di candidati, assegnava loro un compito, quindi osservava come si organizzavano e, soprattutto, chi prendeva il comando. Studiando come veniva a costituirsi un tale gruppo, Bion notò che, in genere, giungono alla leadership le persone più disturbate mentalmente: isterici gravi o paranoici.
I miei venticinque lettori si preoccupino pure al pensiero delle implicazioni sociali e politiche di una tale affermazione. Fanno bene. Già Nietzsche – che di follia se ne intendeva – scriveva che se sapessimo in quali mani siamo, rispetto ai nostri governanti, ci si accapponerebbe la pelle. E Nietzsche non aveva ancora visto all’opera Gheddafi e Berlusconi! Uno psicoanalista olandese, Kets de Vries, si è preso la briga di analizzare le biografie di un numero cospicuo di leader – imprenditori, manager, politici, eccetera – dimostrando che risultano tutti fuori di zucca. Anzi, è proprio grazie alle loro patologie mentali che riescono ad assumere ruoli di potere.
Se vi stupite o (meglio!) v’indignate per l’iter francamente schizoide che sta avendo la manovra finanziaria di Tremonti (o di chi per lui), pensate al titolo del saggio di de Vries: Leaders, giullari e impostori. Ma non consolatevi troppo, proiettando sugli attuali governanti tutte le colpe della situazione assurda in cui ci troviamo. Ogni volta che ci troviamo di fronte a politici demagoghi, incapaci, bugiardi, disonesti, manipolatori, dobbiamo riflettere sul fatto che è il nostro gruppo sociale ad essere malato, in quanto essi ne costituiscono la libera espressione. Ed è di ciò che, in primo luogo, dovremmo allarmarci.
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Tag: Friedrich Nietzsche, Giulio Tremonti, Italia, Kets de Vries, Leaders giullari e impostori, manovra economica 2011, Muammar Gheddafi, politica, politici, Silvio Berlusconi, Teoria dei gruppi, Wilfred Ruprecht Bion
(Paolo Jedlowski, Il mondo in questione)
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