Il filosofo Umberto Galimberti scrisse anni fa un libro che porta il titolo piuttosto esplicativo di Perversioni in Rete. Riprendendo il lavoro di psichiatri e psicologi statunitensi, tratta dell’Internet Addiction Disorder: della dipendenza cioè da Internet, la quale si manifesta con i sintomi della tolleranza, dell’astinenza e del craving tipici delle tossicodipendenze. Certo, sono fenomeni che accadono, inquadrabili nelle sindromi ossessivo-compulsive, ma non bisogna generalizzare. Soprattutto occorre distinguere le chat dai forum e dai blog, cosa che né Galimberti né altri studiosi di fama (la Oliverio Ferraris, ad esempio) mi sembra abbiano finora fatto. In ogni caso, non andrebbero colti soltanto gli aspetti patologici di questa nuova modalità di relazionarsi agli altri.
Nel web la comunicazione avviene esclusivamente mediante testi scritti. Ciò influenza il contenuto del messaggio, che tende ad essere più semplice ma più impreciso. Si possono poi sperimentare esperienze, ruoli, passioni. Con il rischio di uscire dalle righe, di non riuscire a spiegarsi, di non essere compresi (nei toni e nei modi). Se pensiamo poi che esiste un notevole abbassamento della soglia dell’ansia sociale (ci si protegge con l’anonimato), si capisce perché talvolta vi sia un’esasperazione di comportamenti che altrove sarebbero repressi (da noi stessi o da chi ci sta accanto).
Secondo me, tuttavia, non c’è soltanto questo. Internet ci fornisce lo spazio per vivere in maniera alternativa l’amicizia, il piacere di scambiarsi impressioni, opinioni, informazioni, anche sentimenti. Maniera alternativa, non virtuale (termine errato, perché tutto ciò che ci riguarda è reale: sempre che non siamo psicotici e soffriamo di allucinazioni, ma questo è un altro paio di maniche). Non è richiesta la presenza fisica, neppure quella impalpabile della voce: basta l’intenzione di esserci, di frequentarsi, di dialogare tramite le parole scritte. È vero che nelle maglie larghe della Rete si può osare di più: indossare maschere diverse, giocare con ruoli e sentimenti, mettersi alla prova in scenari svariati. È come avere a disposizione un palcoscenico infinito sul quale muoversi senza inibizioni. Eppure possiamo stabilire di rimanere sostanzialmente noi stessi, proprio come faremmo in qualunque altro contesto pubblico.
Internet rappresenta soltanto il primo passo verso altri sistemi di comunicazione più “fisici” e (in fondo) più soddisfacenti: dal telefono fino all’incontrarsi di persona. Le implicazioni affettive che nascono e si sviluppano non hanno però dinamiche troppo dissimili da quelle che s’instaurano in un rapporto tradizionale. Si possono ricondurre piuttosto a quelle relazioni a distanza tipiche dei secoli passati che si instauravano e si consolidavano attraverso gli scambi epistolari.
Sull’argomento, dunque, non ho un’opinione negativa. (E come potrei?) Credo comunque che si debba utilizzare la Rete in modo intelligente, per non rendere inutile, una banale perdita di tempo, questa esperienza altrimenti piacevole.
Ultimi commenti