Julie: << Bella questa poesia [Mai e poi mai], e anche triste. Sai cosa mi fa pensare? Che certi amori sono più belli nel ricordo che non mentre li si viveva. Come se il ricordo restituisse loro quell'intensità e quel senso di "ineluttabile" altrimenti non percepito >>.
Pim: << So che è più romantico ricordare gli amori passati con un velo di soffusa nostalgia. Per quel che mi riguarda, invece, provo una vaga sensazione di disagio. Riguardando indietro, mi accorgo che le mie furono storie intrise d’inconsapevolezza, come un tuffo nel vuoto a testa all’ingiù trattenendo il respiro, di confusa euforia, di felice assenza. Senza pensare, senza valutare, senza considerare, senza calcolare. Erano tempi in cui ancora possibile sbagliare – se non persino lecito. Quando l’età consentiva ancora un minimo d’incoscienza, quando tutto appariva ancora meno definito e definitivo. Erano sentimenti scritti sulla sabbia e il mare li ha portati con sé. Erano dipinti sulle nuvole, il vento li ha soffiati via. Come l’eco che sfuma lontano nella valle, come le foglie in autunno. In fondo, se ci penso, quegli amori non hanno lasciato molto nel mio cuore. Qualche dolore, ma che ormai il tempo e le circostanze della vita hanno lenito. Qualche senso di colpa, perché anch'io ho mancato, che però non brucia più. C’è un momento per ricordare e uno per dimenticare... >>.
Julie: << Son d'accordo con te quando dici che esiste un momento buono per ricordare e uno per dimenticare, in fondo se c'è una cosa che l'esperienza mi ha insegnato è che bisogna saper perdonare a noi stessi certe mancanze, semplicemente perché, in quel momento, noi eravamo quelli, consapevoli o meno, altro o in maniera diversa non potevamo essere o non potevamo agire. Quindi... dimenticare amori andati a male, sofferti, intrisi di sensi di colpa per quello che poteva essere e non è stato, però... in questo forse mi discosto un po' da te, trovo non sia poi così sbagliato vivere certe storie senza valutare, senza considerare, senza calcolare, poiché spesso è propria la pretesa di voler capire, dare un senso, che distrugge rapporti altrimenti bellissimi. Certo, essere consapevoli di quello che si vuole, di ciò che si desidera da un rapporto, questo sì... ci deve essere, ma in fondo anche un pizzico d’incoscienza non guasta. A me mette un po' tristezza pensare che tutto a un certo punto debba diventare definito e definitivo, forse perché penso che nulla nella vita è definito e definitivo, nemmeno i grandi amori >>.
Pim: << Nemmeno io penso che vivere certe storie senza fare tanti calcoli sia un male. Anzi, l'amore ha in sé un aspetto ludico che, generalmente, la nostra cultura tende a sottovalutare. Credo, però, ci sia un tempo in cui ci si può permettere di vivere i sentimenti in modo anche un po' irresponsabile, e un tempo in cui occorre dare un senso più preciso alla propria esistenza. Allo stesso modo, sono convinto che si può vivere una storia seria con leggerezza. E un rapporto che è (o, meglio, dovrebbe) essere definito e definitivo possa diventare dunque piacevole, persino divertente. Occorre non appiattirsi nella routine e dare tutto per scontato: bensì mantenere svegli gli interessi comuni, darsi degli obiettivi, progettare cose nuove... Certo, non è sempre facile, soprattutto quando sorgono problemi che vanno ad interferire con il corso normale degli eventi. Però ci si può provare. Cercando di mettersi nei panni del/della partner, comprendere le sue esigenze ed i suoi punti di vista, senza mai prendersi troppo sul serio... >>. […]
Marino: << Ricordare e dimenticare non dipende da noi come spesso pensiamo. Noi possiamo solo cercare di ricordare e dimenticare: ma non decidere di ricordare e dimenticare. Memoria e oblio non li governiamo noi. Il ricordo ha bisogno di qualcosa che lo ridesti e tuttavia non basta per indicare davvero quante e quali siano le forze che lo legano al presente. La poesia ci stimola spesso ed è per questo che troviamo in essa una fonte di emozione. Mi attrae sempre la vicenda di Ulisse. L’Odissea è anche un poema del ricordo, ma è anche un poema in cui la fatica del ricordare è evidente e percepibile. Il ritorno di Ulisse a Itaca ne è una dimostrazione evidente. Ulisse dapprima dubita di essere giunto a Itaca, e solo il cane Argo riconosce subito e senza esitazione il padrone a dispetto degli anni, laddove Eumeo, Penelope ed Euriclea intrecciano fiducia a sfiducia, convinzione a scoramento. In tutti però il presente spinge gradualmente verso il passato, in tutti la presenza di Ulisse ridesta il ricordo opportuno, la memoria apre lentamente e per gradi il cammino che riconduce ciò che è stato verso il presente. Io credo che ci si debba domandare perché ciò accade. Certo, non è facile riconoscere un uomo dopo vent’anni; non lo è specialmente se una dea, un poco maligna, lo ha coperto di stracci e con un colpo di bacchetta magica gli ha ricordato quanto tempo è passato da quando aveva abbandonato Itaca. Ma la difficoltà obiettiva del riconoscimento si lega alla fatica soggettiva del ricordo, allo sforzo doloroso che accompagna il gesto di riunire il presente al passato >>.
Pim: << Certo, è vero: non siamo noi a decidere ciò che dobbiamo ricordare o dimenticare. Spesso, anzi, capita di dimenticare ciò che vorremmo ricordare e viceversa. Misteri dell'inconscio... Penso piuttosto che ci esercitiamo fin dall'infanzia a memorizzare, cosa che comporta tra l'altro una certa fatica. Invece non siamo capaci di imparare a dimenticare. Forse è un'arte che dovremmo conoscere. Perché è vero che noi siamo ciò che ricordiamo - e pensiamo alla tragedia dei malati di Alzheimer che vivono in un eterno presente senza più passato e nemmeno futuro. Ed è vero che la rimozione non porta da nessuna parte - i lupi li scacci dalla porta e rientrano dalla finestra. Tuttavia esistono capitoli della nostra esistenza la cui rievocazione continua provoca soltanto una sofferenza inutile. Sarebbe meglio imparare a metabolizzare certi ricordi, per poi lasciarli andare per sempre >>. […]
Pentesilea: << Verissimo quello che hai scritto Pim, tutti vogliono che ricordiamo e ce lo insegnano da subito, ma nessuno ci insegna a dimenticare. Eppure a volte sarebbe molto più utile che non ricordare. Sì, ma poi come facciamo con l'esperienza? Il ricordo non è casuale, serve a non commettere gli stessi errori, allora chi decide come e cosa dimenticare e cosa no? La gente di solito attua una specie di autocensura distraendosi continuamente, è un surrogato della dimenticanza senza che entri in funzione la rimozione ufficiale. Forse dovremmo essere messi in grado di selezionare solo i ricordi che ci possono servire e lasciare indietro quelli che non possono servire (belli o brutti che siano) ma la nostra specie non è ancora così evoluta mi sembra, purtroppo dobbiamo tenerci tanta roba stivata che probabilmente appesantisce solo e non aiuta nemmeno. Ci vuole l'allenamento di una terapia psicologica, forse, per rivitalizzare i ricordi e rimetterli in circolazione, in funzione di un'energia nuova diversamente e finalmente metabolizzata. Sì, mi pare che al momento non ci sia niente di meglio per usare i propri ricordi, per poter dimenticare davvero, finalmente >>. […]
Pim: << Sono convinto che sia proprio così. Certi ricordi, quelli che rinnovano soltanto un inutile dolore, dovrebbero essere lasciati andare come palloncini nel cielo >>.
(Post tratti dal Forum Tu Sei, inviati tra il 16 e il 19 giugno 2004)
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